Il fatto è che lei quella sera non aveva alcuna voglia di uscire, né di vestirsi, né prendere la macchina, né fare la strada, arrivare, parlare, ascoltare. Quelle serate così, di quei periodi così, di quelle volte così che vuoi solo stare nel letto a puntare il soffitto, prona, e magari poi dormire, perché non ne va una dritta ed è inutile accanirsi, bisogna aspettare, cosa vuoi fare.
Ma niente, véstiti ed esci stasera ci son tutti non puoi mancare non fare la depressa vieni.
E andiamo.
E mentre si veste distratta davanti allo specchio a spalle basse e avvolta nella tristezza dei suoi trentaqualcosa anni e non me ne va dritta una son solo una vecchia stronca abbandonata dalla fortuna, e sua nonna dall'alto dei suoi ottanta che le dice io alla tua età saltavo i fossi per il lungo, hai ancora tutta la vita davanti, sei una giovinetta; e sua sorella piccola che dal basso non dice niente ma scrolla la testa a ribadire non si sa bene cosa, ma le sorelle piccole ribadiscono sempre con acidità qualcosa di brutto che pensi già da sola; mentre succede tutto questo lei ha già la borsa sotto braccio, le chiavi in mano e scende le scale. Scattano degli automatismi delle volte, non si sa cosa, qualcosa ti muove, ti prende da sotto con un calcio nel sedere. Insomma, si muove ed è già in strada.
E allora tutti lì con le macchine, la prendi tu la prendo io siamo cinque qua cinque là (ricordami perché mai sono uscita stasera), insomma rimesta rimesta il fatto è che bisogna che lei prenda la macchina e con lei ci deve salire Coso. Chi è Coso? Non si sa, è amico del cugino della ex della sorella della compagna di classe della vicina di casa di Carlo. Allora lui viene con te? E venga con me. E andiamo.
Il fatto è che lei quella sera non aveva proprio la benché minima voglia di parlare ascoltare socializzare, niente. Se era lì era colpa del calcio da salto olimpionico che la vita ogni tanto t'assesta nel sedere.
E loro due sono lì in macchina, a seguire il codazzo. Lui non parla, e lei nemmeno. Lui guarda fuori dal finestrino e lei ogni tanto lo guarda. Non è bello, no. Lui guarda fuori dal finestrino con la testa appoggiata. Forse anche lui l'hanno obbligato, siamo due obbligati stasera. Avrà anche lui una nonna di ottant'anni che saltava eccetera e un fratello piccolo acido come la varechina.
C'è da fare mezz'ora almeno, in macchina. Zitti tutti e due.
Va bene a lei, va bene a lui, di stare zitti. C'è la musica alla radio. Lei guarda dritto, lui guarda fuori dal finestrino. Che a guardarli potrebbe sembrare che lui si debba ricoverare all'ospedale per una malattia mortale, e il dolore, e la separazione e non ci sono le parole. Invece no. Tira tutta un'altra aria, lì dentro.
Sono i luoghi di confine, quelli che le fanno perdere la testa: l'attaccatura del collo alla spalla, tramonti e albe, il momento in cui si passa dal sonno alla veglia, i primi momenti con uno sconosciuto, che dopo le prime parole si è già passati di là. E in macchina in quel momento era pieno di luoghi di confine, e lui aveva un'attaccatura collo spalla che era la fine del mondo.
Il fatto è che lui poi muove la testa e le guarda le mani sul volante. Lo sguardo sale su per i polsi, le braccia, poi si ferma sul viso giusto un attimo. Ed è ancora il finestrino.
Che se c'è una cosa che la fa cascare è la possibilità del desiderio dell'altro.
Il fatto è che lui ha quel modo particolare di muovere la testa, guardare fuori, è sempre tutta colpa dei particolari, se è sì o se è no, è sempre il particolare che frega. E insomma sarà il suo modo di guardare, o il modo di muovere la testa, sarà la musica complice (c'è sempre una musica complice, decidete voi quale, non posso fare tutto io), sarà; il fatto è che quei due quella sera non sono mai arrivati a destinazione.
Il fatto è che poi, come nelle grandi saghe d'amore, del dopo, della vita matrimoniale, nessuno parla mai. Ma è andata bene eh, stavano molto zitti tutti e due. E poi c'era pieno di particolari, e desiderio, e luoghi di confine.
Ma niente, véstiti ed esci stasera ci son tutti non puoi mancare non fare la depressa vieni.
E andiamo.
E mentre si veste distratta davanti allo specchio a spalle basse e avvolta nella tristezza dei suoi trentaqualcosa anni e non me ne va dritta una son solo una vecchia stronca abbandonata dalla fortuna, e sua nonna dall'alto dei suoi ottanta che le dice io alla tua età saltavo i fossi per il lungo, hai ancora tutta la vita davanti, sei una giovinetta; e sua sorella piccola che dal basso non dice niente ma scrolla la testa a ribadire non si sa bene cosa, ma le sorelle piccole ribadiscono sempre con acidità qualcosa di brutto che pensi già da sola; mentre succede tutto questo lei ha già la borsa sotto braccio, le chiavi in mano e scende le scale. Scattano degli automatismi delle volte, non si sa cosa, qualcosa ti muove, ti prende da sotto con un calcio nel sedere. Insomma, si muove ed è già in strada.
E allora tutti lì con le macchine, la prendi tu la prendo io siamo cinque qua cinque là (ricordami perché mai sono uscita stasera), insomma rimesta rimesta il fatto è che bisogna che lei prenda la macchina e con lei ci deve salire Coso. Chi è Coso? Non si sa, è amico del cugino della ex della sorella della compagna di classe della vicina di casa di Carlo. Allora lui viene con te? E venga con me. E andiamo.
Il fatto è che lei quella sera non aveva proprio la benché minima voglia di parlare ascoltare socializzare, niente. Se era lì era colpa del calcio da salto olimpionico che la vita ogni tanto t'assesta nel sedere.
E loro due sono lì in macchina, a seguire il codazzo. Lui non parla, e lei nemmeno. Lui guarda fuori dal finestrino e lei ogni tanto lo guarda. Non è bello, no. Lui guarda fuori dal finestrino con la testa appoggiata. Forse anche lui l'hanno obbligato, siamo due obbligati stasera. Avrà anche lui una nonna di ottant'anni che saltava eccetera e un fratello piccolo acido come la varechina.
C'è da fare mezz'ora almeno, in macchina. Zitti tutti e due.
Va bene a lei, va bene a lui, di stare zitti. C'è la musica alla radio. Lei guarda dritto, lui guarda fuori dal finestrino. Che a guardarli potrebbe sembrare che lui si debba ricoverare all'ospedale per una malattia mortale, e il dolore, e la separazione e non ci sono le parole. Invece no. Tira tutta un'altra aria, lì dentro.
Sono i luoghi di confine, quelli che le fanno perdere la testa: l'attaccatura del collo alla spalla, tramonti e albe, il momento in cui si passa dal sonno alla veglia, i primi momenti con uno sconosciuto, che dopo le prime parole si è già passati di là. E in macchina in quel momento era pieno di luoghi di confine, e lui aveva un'attaccatura collo spalla che era la fine del mondo.
Il fatto è che lui poi muove la testa e le guarda le mani sul volante. Lo sguardo sale su per i polsi, le braccia, poi si ferma sul viso giusto un attimo. Ed è ancora il finestrino.
Che se c'è una cosa che la fa cascare è la possibilità del desiderio dell'altro.
Il fatto è che lui ha quel modo particolare di muovere la testa, guardare fuori, è sempre tutta colpa dei particolari, se è sì o se è no, è sempre il particolare che frega. E insomma sarà il suo modo di guardare, o il modo di muovere la testa, sarà la musica complice (c'è sempre una musica complice, decidete voi quale, non posso fare tutto io), sarà; il fatto è che quei due quella sera non sono mai arrivati a destinazione.
Il fatto è che poi, come nelle grandi saghe d'amore, del dopo, della vita matrimoniale, nessuno parla mai. Ma è andata bene eh, stavano molto zitti tutti e due. E poi c'era pieno di particolari, e desiderio, e luoghi di confine.
E non mi stanco di ripetere che adoro leggerti, dolcezza.
RispondiEliminaio no,non ce la faccio a restare in silenzio,piuttosto elenco in ordine alfabetico gli affluenti del Po!
RispondiEliminasarà per questo che son rimasta zitella?!
Bello bello... Come al solito ;-)
RispondiEliminaVanì