Io avevo 19 anni, la patente, una macchina ed ero bellissima. Anche la mia macchina aveva 19 anni ed era bellissima. Andavo a prendere i miei amici e loro mi dicevano "Che bello, andiamo con la macchina che ha l'odore della macchina di mio nonno". E per me era una cosa bella anche quella. La macchina del mio nonno aveva proprio un odore di macchina del nonno.
Poi qualcuno che non capiva diceva che quella macchina ce l'avevamo solo io e i Vu Cumprà ( non avevano ancora inventato gli extracomunitari), e io dicevo "Ah, Vu Cumprà?" e loro mi dicevano "Neanche se mi paghi te".
Io mi sentivo bella e vu cumprà e bella, in giro con la mia macchina giallo ocra.
La mia macchina giallo ocra aveva anche una radio. Non c'era l'mp3, non c'era il cd e non c'era neanche la cassetta. Prendeva solo radio capodistria e pure male. Però una volta io e la Francesca siamo tornate dal pub e alla radio c'erano i doors su radio capodistria e noi ci sentivamo le più fighe ragazze del mondo.
La mia macchina giallo ocra aveva un volante gigante, enorme e ricoperto con il corpivolante di pelle con i bottoni. Sottile e enorme, mi sembrava di guidare un camion. Lo rimpiango sempre, quel volante sottile e enorme.
La mia macchina giallo ocra andava a metano (5 mila lire un pieno, tre bombole nel bagagliaio, 250 km da segnare assolutamente sul foglietto volante che se non lo segnavi restavi anche a piedi), aveva la prima, la seconda, la terza e la quarta e quando salivo in prima a tavoletta su per le vie ripide del mio paesino, ma ripide così, io pregavo. Pregavo e sentivo che anche lei pregava. Quando ne portavo quattro con me, invece, non credo fossero proprio preghiere, le sue. Io invece ripassavo rosari e rosari e costringevo a rosariare anche gli altri.
La mia macchina giallo ocra a metano, dietro, aveva un sedile unico lungo di finta pelle nera plasticosa a buchetti. A pensarci bene, adesso, era un letto comodissimo. A pensarci bene, adesso. Allora non ci ho pensato bene per niente. Che sema.
La mia macchina giallo ocra, un giorno, è finita allo sfaciacarrozze. I mei genitori han dovuto anche pagare, perché se la portassero via. Non c'è proprio rispetto per il dolore, delle volte.
E infatti ogni volta che ci ripenso, un po' sto male. Piango dentro di commozione. Io, con lei, ho imparato a guidare. Andavo a fare le guide nel parcheggio vuoto di fronte a casa, con la mia amica Francesca. Un giro io e un giro lei. Però non ci veniva mica in mente di come poter usufruire di quel sedile unico e lungo dietro. Che seme.
Un giorno un ragazzo mi ha visto con quella macchina. Forse era già un pochino innamorato, forse. Sarà. Però mi ricordo che è stato tutta la sera a parlarmi della mia macchina, che era bellissima e me la fai provare. No, non posso. Se vuoi però ci puoi salire al posto dell'autista, ma per poco e da spenta. Va bene. E poi è sceso subito perché io non volevo tanto. Però adesso è mio marito. Per dire.
E insomma oggi mi è tornata in mente lei. Non perché ne ho vista una. Non se ne vedono più, in giro.
E a ripensarci mi è venuto in mente tutto un periodo, tutti i ricordi legati ad un volante gigante e all'odore di macchina di nonno e di radiocapodistrie.
Non è che la vorrei, adesso. Se l'avessi ancora, probabilmente avrebbe fatto la fine dell'auto lasciata nel campo, con le erbe che le crescono dentro e attorno a far da gioco per i bambini (che, voglio dire, anche magari).
Comunque tutto passa, 'via.
(Sì sì, passa tutto. Ma mi sa tanto che quella lì, la macchina giallo ocra, non la batterà mai nessuno).
Gogol’ Maps 2025
13 ore fa