"Addio, mi annoi", disse il suo amico immaginario prima di lasciarlo e andarsene via per sempre (a signorine, molto probabilmente).
"Andiamo bene", pensò Gualtiero. "Se mi pianta anche quello che mi invento io nella testa, sono alla frutta".
E aggiunse tra sé e sé, preso dal panico: "devo fare qualcosa, immediatamente!".
E così Gualtiero, che era uno che si lasciava andare ma di certo non era uno che si lasciava lasciare, prese una corda lunghissima e iniziò a legare ogni cosa; e legò, legò, legò per ore tutto il giorno. Legò il comodino al tavolo, e poi il tavolo alla sedia, e poi il tavolo e la sedia ad una seconda sedia, e poi a tutte le sedie; legò le scarpe con le scarpe e poi le scarpe alle ciabatte; e poi le ciabatte alle gambe del letto, e un giro di corda anche all'armadio con tutta la roba dentro; e poi ancora, legò il letto alla scrivania (senza mai staccare la corda, s'intenda), e ancora, via un giro di corda alla maniglia della finestra, poi alla maniglia della porta, e di nuovo a stringere e girare e stringere; attorno alla cassettiera, ora; alla abat-jour, ai libri, pacchi di libri legati tra loro e poi ancora legati alla spalliera del letto, e poi di nuovo a passare la corda e a legare e a girare attorno alle gambe della scrivania; e ancora e ancora, di nuovo, sì, tutto legato con tutto in modo che, pensava Gualtiero, niente se ne sarebbe andato mai più via da me.
Lega lega, dopo un po' la sua stanza era diventata tutto un passaggio di corda che univa in un unico invrucchio ogni oggetto, seppur piccolo (legò persino le penne tra loro e i fogli sparsi di giornale e i calzetti lasciati per terra), ad un altro oggetto, fino a formare una rete di corda con agglomerati di cose qua e là, nemmeno tanto brutta a vedersi.
Alla fine mancava solo lui. Il genio iniziò a incatenare anche se stesso avvolgendosi la corda attorno al corpo, su per le braccia, e poi le gambe, e poi i suoi piedi alle gambe del tavolo, e poi di nuovo se stesso, e poi un giro attorno al comodino, ben stretto alle caviglie, di nuovo il braccio libero, poi ancora un giro attorno alla vita e via via così, finché Gualtiero si ritrovò incastrato e girato e incatenato così bene che nemmeno le mani erano più libere. Veramente quella destra sì: teneva la cima della corda e gli dava pure un po' fastidio. Allora riuscì a incastrare pure quella e ad annodarla con l'aiuto della bocca ad altezza petto. Poi si lasciò cadere come un salame e rotolò a terra sfinito. La fatica di legare tutte quelle cose a sé non era stata affatto poca.
A vederlo da fuori, sembrava un deficiente. Anzi, era proprio un deficiente.
E adesso?
E adesso l'unica cosa che poteva fare, legato come un salame e steso a terra, era immaginare.
Solo che i pensieri, le storie, le fantasie, i personaggi, le follie, non potevano essere né raccontate né scritte perché quel genio di Gualtiero era solo in casa, proprio così, non sarebbe servito nemmeno urlare, il telefono era lontano, nella foga non ci aveva mica pensato, al telefono, il blocchetto degli appunti era lontano, legato per bene alla spalliera del letto, la penna era lontana, ben legata anche lei alle altre penne ma lontana, il computer, figuriamoci, legatissimo e lontano pure quello.
Per ironia della sorte, l'unica cosa che a Gualtiero restava da fare , lì, avvolto come un salame dalla sua stessa corda, era immaginare e lasciare i pensieri liberi di spaziare, vagare e andare. Senza alcun limite, senza legacci, senza freni. In totale ed enorme libertà.
Gualtiero pensò frasi meravigliose, sembravano musica, accostò parole mai accostate prima, vide succedere storie incredibili, nascere personaggi bizzarri, vide incastri di vite, avventure, morte, amore, sangue e merda (che va sempre bene), immaginò un di tutto e di più che, però, non conosceremo mai. E perché? Perché Gualtiero, quel giorno, decise di legare tutto stretto stretto a sé con una corda. Un genio.
E poi è morto.
No, dai, non è vero. Poi è entrata sua mamma in camera, l'ha guardato steso a terra avvolto come un salame, ha guardato la stanza e ha detto:
"Gualtiero, sei un deficiente".
Poi l'ha slegato e gli ha detto: "vieni a mangiare va', che è pronto. Poi però metti a posto la tua stanza e fai i compiti, che domani t'interrogano".
Lui l'ha anche sentita dire, mentre si allontanava: "ma pensa te se mi toccava avere un figlio deficiente che a quindici anni se ne inventa ancora una per colore."
"Andiamo bene", pensò Gualtiero. "Se mi pianta anche quello che mi invento io nella testa, sono alla frutta".
E aggiunse tra sé e sé, preso dal panico: "devo fare qualcosa, immediatamente!".
E così Gualtiero, che era uno che si lasciava andare ma di certo non era uno che si lasciava lasciare, prese una corda lunghissima e iniziò a legare ogni cosa; e legò, legò, legò per ore tutto il giorno. Legò il comodino al tavolo, e poi il tavolo alla sedia, e poi il tavolo e la sedia ad una seconda sedia, e poi a tutte le sedie; legò le scarpe con le scarpe e poi le scarpe alle ciabatte; e poi le ciabatte alle gambe del letto, e un giro di corda anche all'armadio con tutta la roba dentro; e poi ancora, legò il letto alla scrivania (senza mai staccare la corda, s'intenda), e ancora, via un giro di corda alla maniglia della finestra, poi alla maniglia della porta, e di nuovo a stringere e girare e stringere; attorno alla cassettiera, ora; alla abat-jour, ai libri, pacchi di libri legati tra loro e poi ancora legati alla spalliera del letto, e poi di nuovo a passare la corda e a legare e a girare attorno alle gambe della scrivania; e ancora e ancora, di nuovo, sì, tutto legato con tutto in modo che, pensava Gualtiero, niente se ne sarebbe andato mai più via da me.
Lega lega, dopo un po' la sua stanza era diventata tutto un passaggio di corda che univa in un unico invrucchio ogni oggetto, seppur piccolo (legò persino le penne tra loro e i fogli sparsi di giornale e i calzetti lasciati per terra), ad un altro oggetto, fino a formare una rete di corda con agglomerati di cose qua e là, nemmeno tanto brutta a vedersi.
Alla fine mancava solo lui. Il genio iniziò a incatenare anche se stesso avvolgendosi la corda attorno al corpo, su per le braccia, e poi le gambe, e poi i suoi piedi alle gambe del tavolo, e poi di nuovo se stesso, e poi un giro attorno al comodino, ben stretto alle caviglie, di nuovo il braccio libero, poi ancora un giro attorno alla vita e via via così, finché Gualtiero si ritrovò incastrato e girato e incatenato così bene che nemmeno le mani erano più libere. Veramente quella destra sì: teneva la cima della corda e gli dava pure un po' fastidio. Allora riuscì a incastrare pure quella e ad annodarla con l'aiuto della bocca ad altezza petto. Poi si lasciò cadere come un salame e rotolò a terra sfinito. La fatica di legare tutte quelle cose a sé non era stata affatto poca.
A vederlo da fuori, sembrava un deficiente. Anzi, era proprio un deficiente.
E adesso?
E adesso l'unica cosa che poteva fare, legato come un salame e steso a terra, era immaginare.
Solo che i pensieri, le storie, le fantasie, i personaggi, le follie, non potevano essere né raccontate né scritte perché quel genio di Gualtiero era solo in casa, proprio così, non sarebbe servito nemmeno urlare, il telefono era lontano, nella foga non ci aveva mica pensato, al telefono, il blocchetto degli appunti era lontano, legato per bene alla spalliera del letto, la penna era lontana, ben legata anche lei alle altre penne ma lontana, il computer, figuriamoci, legatissimo e lontano pure quello.
Per ironia della sorte, l'unica cosa che a Gualtiero restava da fare , lì, avvolto come un salame dalla sua stessa corda, era immaginare e lasciare i pensieri liberi di spaziare, vagare e andare. Senza alcun limite, senza legacci, senza freni. In totale ed enorme libertà.
Gualtiero pensò frasi meravigliose, sembravano musica, accostò parole mai accostate prima, vide succedere storie incredibili, nascere personaggi bizzarri, vide incastri di vite, avventure, morte, amore, sangue e merda (che va sempre bene), immaginò un di tutto e di più che, però, non conosceremo mai. E perché? Perché Gualtiero, quel giorno, decise di legare tutto stretto stretto a sé con una corda. Un genio.
E poi è morto.
No, dai, non è vero. Poi è entrata sua mamma in camera, l'ha guardato steso a terra avvolto come un salame, ha guardato la stanza e ha detto:
"Gualtiero, sei un deficiente".
Poi l'ha slegato e gli ha detto: "vieni a mangiare va', che è pronto. Poi però metti a posto la tua stanza e fai i compiti, che domani t'interrogano".
Lui l'ha anche sentita dire, mentre si allontanava: "ma pensa te se mi toccava avere un figlio deficiente che a quindici anni se ne inventa ancora una per colore."
Zero commenti?!? Cioè...No...Dico io... ZERO COMMENTI?!?!?!?!? Ma l'hai scritta tu? Mi hai incantata...
RispondiEliminaL'ho scritta io, sì, è arrivata come arrivano tutte le storie, senza neanche bussare. E poi oggi ci ripensavo, a questa storia qua, che chissà perché era arrivata. E allora ripensandoci mi è venuto in mente che nella vita va bene legarsi, ma bisogna anche sapersi slegare, alla fine. Grazie Vaniglia che sei passata e hai lasciato traccia. E son contenta del tuo incanto. :)
RispondiEliminaLeggere la tua storia me ne ha fatta venire in mente una mia... L'ultima che mi è giunta da quel posto là, da dove arrivano tutte le storie, prima che perdessi definitivamente la strada... Che poi definitivamente non è mai detto, ma per ora va così. L'ho appena pubblicata per restituirti almeno un pochino dell'incanto che mi hai regalato...
RispondiEliminahttp://www.vanigliablog.com/2010/08/14/piccola-storia-di-uno-sbadiglio/
Ps: "nella vita va bene legarsi ma bisogna anche sapersi slegare, alla fine"... Sante parole, ma mica tutti son capaci.
Incanto restituito, grazie!
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