Mi sono svegliata, una mattina, felice. La notte avevo volato. Volato, sì, tra le montagne, sfiorando la terra e poi di nuovo su, in alto. L'emozione di essere in aria, di vedere tutto piccolo là sotto, il vento addosso, il cuore che batte forte, le braccia come ali, la velocità.
Mi sono svegliata, quella mattina, felice. Perché io ho volato davvero, in marzo*; e quel giorno, mentre correvo e mi lanciavo nel vuoto, avevo pensato che se succedeva qualcosa, se si staccava una corda e io volavo di sotto, a quel punto avrei messo le braccia in fuori e mi sarei goduta l'attimo fino in fondo, dentro e partecipe di tutta la potenza della natura. E poi niente, non mi importava. E di certo non perché voglio morire, ma perché lì, io, non ho avuto paura della morte.
E in aria avrò sospirato, chessò, almeno dieci volte. E in aria, lì sospesa tra le montagne piene di neve con le gambe penzoloni, ho pensato che mi sembrava di sognare. E poi non ho pensato più a niente, non riuscivo a tradurre in parole, perché non si può. Mi sono rassegnata, ho staccato la testa, ho contemplato, ho detto grazie.
* due amici mi hanno regalato, a sorpresa, una delle emozioni più grandi della mia vita.
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