giovedì 31 dicembre 2009

2010: "Verso l'infinito e oltre" (Buzz Lightyear)

Vorrei lasciare questo 2009 con un pensiero molto sentitissimo profondissimo sulla vita, sull'intelligenza, sulle capacità umane, sulle relazioni ma soprattutto sul problema Uno, e cioè sulle diverse percezioni che maschietti e femminucce hanno delle cose, delle relazioni, della vita.

L'augurio finale è rivolto a tutti noi, all'umanità intera; è l'augurio che le cose vadano sempre verso il meglio, verso una crescita interiore, verso il progresso, con lo sguardo rivolto alle nuove generazioni serbando nel cuore la grande speranza che loro sappiano fare di più di quello che abbiamo fatto noi finora, con maggiore consapevolezza, e che rendano il mondo in cui viviamo un posto migliore.

Auguri sinceri,
vostra Zazie.

(p.s. Mi dispiace per la spoilerata dell'augurio di stasera a reti unificate. Ops.)

Il mio pensiero si intitola: "Prendete un gesso, due quattordicenni e una lavagna"
sottotitolo: "Quarant'anni di evoluzione"

1970
La ragazza faceva questo


Il ragazzo faceva questo


1980
La ragazza scriveva CIAO con un puntino sulla i grande come tutta la lavagna


Il ragazzo faceva questo


1990
La ragazza faceva questo


Il ragazzo faceva questo


2000
La ragazza faceva una lista di tutte le bimbeminchia amiche


Il ragazzo faceva questo


2010
Il ragazzo farà questo


La ragazza, in quarant'anni, avrà finalmente imparato a disegnare una vagina?

Con l'augurio che la civiltà occidentale progredisca, soprattutto in quanto riguarda all'ammmore maiuscolo, vi auguro un felicissimo anno 2010.

lunedì 28 dicembre 2009

verso il 2010

... e adesso vorrei trovare una mappa nuova, magari nascosta nelle assi di legno di una vecchia staccionata, vorrei intraprendere un viaggo, scoprire un tesoro. Ché questo, in fondo, è il vero desiderio dell'anima.

giovedì 24 dicembre 2009

Buono Natale

Gianni ha trentasette anni, fa il maestro elementare. Anzi, faceva. Adesso è precario e quest'anno non ha avuto che qualche supplenza. Càpita.
E' sposato con Marta. Marta è in cassa integrazione. Càpita.
Gianno e Marta hanno due figli. Càpitano.
Gianni e Marta hanno l'albero di Natale, hanno fatto i cappelletti.
Gianni e Marta, nonostante il mutuo, le tasse del nido del piccolo, il gas, l'enel, il bollo dell'auto, l'assicurazione eccetera eccetera, sono felici. Chissenefrega, pensano. Ci siamo noi, chiusa la porta siamo tra noi quattro, e le risate non mancano mai.

Gianni legge il giornale di ieri. Marta sparecchia.
- Ma porca di quella troia.
- Gianni... ci sono i bambini di là!
- Ma che cazzo, scusa, adesso se ne esce con il buono vacanze, 'sta stronza!
- Ma chi?
- La Brambilla dei miei coglioni. mA SI PUO' ESSERE PIU' MERDE?
- sssshh, non urlare. Ma perché urli?
- No, non urlo. E' il caps lock a tradimento. Guarda qua piuttosto.
- Ahahaha, che merda. Sai cosa mi fa venire in mente sta porcata? Hai presente il film, credo fosse Il nome della rosa, quando il popolo ridotto alla fame va a prendere gli avanzi del pranzo e della cena del signorotto giù dalla collina, sotto al castello?
- Che merda.
- Che merda.
Scuotono la testa.
- Sai, alla fine forse la gente è anche contenta. Non lo so, non mi stupisco più di niente ormai. Questi lo fanno per propaganda e per tenere basso il conflitto sociale, per non parlare dell'indotto, e lo dicono anche fuori dai denti, tra l'altro. E la gente becca.
- ...
- Ma mettiamo che io voglia prendere 'sto buono del cazzo.
Dall'altra stanza si sente una vocina:
- Babbo, non si dice cazzo.
- Scusa tesoro, hai ragione.
Allora, metti che io vada in vacanza con il loro buono. Sarò costretto, suppongo, ad andare nei posti che mi dicono loro, giusto? Ovvio. Chissà di chi saranno, questi luoghi convenzionati. Ma poi, mi chiedo, saranno tutti per poveracci o a noi ci mettono il braccialetto di riconoscimento? Magari avremo una zona a parte, ci sarà un cartello:

fa un gesto ampio con il braccio ad indicare il cartello

- "Zona riservata ai poveracci ad opera del Ministro del Turismo del Governo che pensa prima di tutto alla persona". mAVAFFANCULO VA'.
e sempre dall'altra stanza...
- Babbo, non si dice vaffanculo.
- Hai ragione, scusa.
Marta lo guarda ridendo sotto i baffi...
- E non urlare.
- Non urlo, è sempre...
- Sì sì, il caps lock a tradimento.
- ...
- ...
- Guarda, Marta, la cosa più triste sai qual è?
- Eh.
- Te lo dico io qual è: la gente, quelli come te e me, loro credono magari che sia una buona idea. E' questo che mi fa girare i maroni. Ma porca puttana.
- Babbo, non si dice porca puttana.
- Hai ragione, scusa. Questi, basta che gli dai la soap opera. Beautifull. Adesso al premier gli è arrivato in faccia un duomo. Il nostro protagonista ha un'altra avventura da raccontare, altri particolari, capito? Mmhh, che bella storia, piena di colpi di scena. E giù la letterina al Papa, il perdono a quel pazzo, quello lì, quel deficiente. Guarda, ci mancava solo un cretino, a noi, adesso. E via ad un'altra puntata di beautifull, e a noi un'altra legislatura.

Marta si siede. Sorride. Scuote la testa.
- Gianni, sai cosa mi è venuto in mente l'altro giorno, a proposito?
- Cosa?
- Che tra un po' chiameranno le elezioni, magari metti che la tensione sul lodo Alfano o sui vari spatuzza aumenta...
- e allora?
- e allora gli sceneggiatori di 'sto romanzo criminale ne hanno in mente un'altra, vedrai che calano l'asso.
- cioè?
- Adesso, dopo che al nostro personaggio alla Eric Forrester è arrivato un duomo in faccia, dato lo shock del non essere forse amato proprio da tutti tutti, nasce nel suo cuore un grande ripensamento, la notte dell'Innominato, tipo. E per copione, si redime. Prima mossa: perdona Tartaglia, o come si chiama. Seconda mossa: Santo Padre. Terza mossa, e qui si vede il genio di chi scrive le puntate...
- dai cazzo, mi sto già inquietando, ché quando fai così mi metti un po' paura.
- Babbo, non si dice cazzo
- Hai ragione, scusa.

- Senti Marta, per me quei due di là me lo dicono perché così hanno il bonus parolaccia. Chiudi la porta va'.
Marta chiude la porta.
- Comunque, dicevo, adesso, se si sarà in vista di elezioni, arriverà la Lady D de noaltri.
- Ehhhh?
- Ma certo. Ascolta il capolavoro: dopo la notte dell'Illuminato (che tra l'altro è Natale, pensaci), c'è la redenzione. Basta porcaio, basta ciarpame senza pudore. Arriva il grande amore, i veri valori, il nido che riscalda... Una bella quarantaduenne, magari, chessò, una che ha sempre lavorato nel sociale, facendo del bene, una che ai soldi non ci pensa... una del popolo... et voilà! La storia continua, il popolo può avere il suo romanzo! Colpo di scena! I migliori santi, si sa, sono quelli che sono passati attraverso tanti errori, una vita dissoluta, una vita confusa...
- Oh mio Dio, dai, così è troppo sporca.
- Ah, beh, perché, fino ad ora, siccome...
- Mh, hai ragione.
- E sai tutto lo spettacolo che ne consegue, tutto il flashback sulla vita di lei, le foto della loro segretissima storia d'amore (segreta perchè lui la vuole proteggere, ah l'amour). Già mi vedo tutto, e poi il matrimonio. E il popolo lo vota. Fine.
- Merda.
- ...
- ...
- Se succede davvero, sai cosa penso?
- Cosa?
- Che ho un po' paura a dormirti di fianco, francamente.
- Ahahahaha.
- Va beh, andiamo va'. Andiamo a sbattutare un po' su Spinoza. Alla fine, pensare sì, sempre, ma meglio riderci anche un po' su. Altrimenti poi il sangue mi va tutto in aceto. A pensarci, guarda, mi darebbe gusto però. Visto che ce lo bevono, il sangue, che si becchino del gran aceto.

- Tesoro...
- Eh?
- Domani è Natale.
- Già.
- Speriamo che le renne non trovino traffico.
- Già.

lunedì 21 dicembre 2009

Pene

Questo post non parla del pene.
Questo post parla di pene, pene d'amore, pene che ti capitano, pene che ti cambiano la visione delle cose, quelle pene che devi ringraziare se adesso sei messa come sei messa, pene che hanno fatto di te ciò che sei. Pene che magari sottovaluti e un giorno capisci perché il tuo romanticismo è finito in un mucchietto di sassetti tanti tanti anni fa, oppure capisci perchè sapresti anche essere romantica, ma alla fine hai deciso di esserlo solo sognando tra te e te, ché c'è sempre in agguato uno che può fare quello che mi ha fatto il padre di tutte le mie pene, il mostro che viene descritto nella seguente appassionante struggente incredibile storia d'amor.


Correva l'anno millenovecentoequalcosa. Avevo sei anni, e anche lui aveva sei anni. Per me, lui, non esisteva. Avevo sei anni, esistevo solo io. Che diamine. Poi esisteva la mamma, poi il papà, poi la maestra e, sì, anche mia sorella, delle volte. Soprattutto quando mi menava. Quelli erano i momenti in cui esisteva moltissimo. O quando guardavamo i Barbapapà.

Un giorno ero a scuola, stavo colorando un disegno, ero al mio banco. Lui si è avvicinato a guardare che coloravo e poi mi ha detto: "Come sei brava a colorare, colori proprio bene dentro i contorni".
Lì, proprio in quel momento esatto e preciso lì, io mi sono accorta per la prima volta della sua esistenza. Allora, guardando il mio disegno e come lo stavo colorando e facendo anche un po' di smorfiette, con la testa inclinata, sicuramente anche dondolando un po', con la gonnellina e le calzamaglie di lana in quelle gambotte cicciotte, ho pensato: "Ah ah, Che discorsi, io so anche colorare senza lasciare i buchi".
Ma devo averlo anche detto, oltre che pensato, perchè lui ha risposto prontamente: "Eh, non esagerare adesso".
"Non esagerare? Non esagerare?"
Non esagerare. Così mi ha detto. E poi se ne è andato. Si è girato e se ne è tornato al suo banco.
Da allora non solo lui aveva prepotentemente iniziato ad esistere in quanto altro essere oltre a me in questo universo, ma cosa ancora più importante, non mi amava quanto mi amavo io. E così mi ero innamorata io di lui. Vigliacco.

Potevo non amarlo? Giammai! Perché anche a sei anni, se non son stronzi, non li amiamo.

E un giorno che me ne stavo in giardino felice e gaia con i miei sassetti e le margheritine a far casette alle formiche, inaspettatamente, me lo vedo che passeggia con la sua mamma per la mia via. Smetto di giocare con i sassetti e mi tuffo saltellando alla ringhiera del cancello che son tutta una felicità. Le nostre mamme parlano tra di loro e anche noi parliamo, io di qua e lui di là dalla ringhiera.

- Ciao Enrico, gli dico io.
- Ciao, dice lui.
- Vuoi essere il mio fidanzato? gli dico io. (Sì sì, proprio così, spudorata come non mai. Non sapevo ancora le cose, non conoscevo la vita).
- Sì vorrei, mi dice lui, ma non posso.
Non mi ha nemmeno lasciato il tempo di allargare la faccia in un immenso e beato quanto ebete sorriso.

Non posso. Ha detto proprio non posso. Testuale. Non posso. E son cose, queste, che non si dimenticano mica facilmente.
Non posso.
Ma perchè, gli ho detto, non puoi, cosa vuol dire che non puoi? La tua mamma non vuole?
Cioè, io proprio l'impedimento facevo fatica a capirlo. Gli piaceva come coloravo, quindi mi amava anche lui, e comunque era già un inizio.

- No, non è per la mia mamma, mi ha detto con le mani nelle tasche dei pantaloni. E' perché ne ho già troppe di fidanzate, tu non ci stai.
- Ah.
- ...
- Beh, ma, allora...Ma quante sono?
- Eh, c'è lei e lei e lei, e fa già tre, poi me lo ha chiesto anche lei, insomma, non ci stai, sono già quattro. Mi dispiace.

Non ci stai.
Già, perchè, anche a sei anni, se non son stronzi non li amiamo.
Non ci stai.
Ma come ragiona questo? Ma una in più cosa vuoi che sia? Che problema c'è? Sto buona in un angolo, non è che mi metto a disturbare, dai, tienimi anche a me, cosa ti costa?
Niente.
E così, capendo da subito che trattare non avrebbe condotto ad alcun buon risultato (era uno deciso questo), devo alla fine avergli detto amareggiata che se si liberava un posto, io ero lì.
Capito? Se si liberava un posto.
Avevo sei anni e ragionavo già male.
Poi però ha cambiato scuola. Amore finito, non ha avuto neanche il tempo materiale di liberare un posto, povero, non ci siamo mai potuti amare. Peccato.

E allora, dalla seconda elementare, ho cambiato tattica, mi son fatta furba: sono stata la morosa di un altro compagno di scuola, solo che per evitare beghe (senti che volpe), lui non l'ha mai saputo. E mi ricordo che è stata una storia d'amore bellissima, piena di colpi di scena, di litigate e riappacificamenti struggenti con colonna sonora e tutto...
Poi però purtroppo l'ho dovuto lasciare tra le lacrime perché andavo in prima media, abitavamo troppo lontani, le cose non sarebbero durate. Ma lui non l'ha mai saputo, nemmeno questo.
E' stato molto bello.

Poi ci sono state le scuole medie. Strano, non mi ricordo nulla delle scuole medie. Strano, vero? Strano. Già.
Comunque, morale della favola, ecco perché non sono romantica, tranne quando chiudo gli occhi e mi permetto di sognare. Lì, nei sogni, non arriva nessun Enrico a dirmi che non c'è posto per me. Nei sogni, per me, c'è sempre posto. E nei sogni ci sono tutte le storie del mondo. E c'è tutto il mio romanticismo.

Giusto l'altro giorno ci ho provato di nuovo, ad essere romantica. Fuori facevano -6 gradi. In braccio gli ho detto: "Sarebbe -6 anche dentro, se tu non ci fossi".
Ha gradito, l'ho visto. Poi mi ha detto: "anche per me". Però non bastava, ché tutto quel sentimento rischiava di, non so cosa si rischiava, ma qualcosa si rischiava, giacché lui ha dovuto aggiungere:

- Poi però io faccio condensa.
- Condensa?
- Sì, per la differenza di temperatura che c'è fuori.
- In che senso?
- Eh, se tu non ci sei, dentro sono -6, ma fuori, con tutte quelle donne che mi girerebbero attorno, sai che calore... e allora si forma la condensa.

C'è che mi fai ridere, è per quello che ti salvi.
Intanto però mi sa che io resto romantica dentro.

giovedì 17 dicembre 2009

E' sempre meglio farci i conti, con la vita

Dunque:

partiamo dalla considerazione che ognuno, quando pensa a qualsiasi cosa, parte da sé, dal proprio vissuto e quindi, già che fa da sé, fa x tre. Poi però, segui il ragionamento, ognuno è unico, quindi metti che il tuo nome ha 3 lettere, ecco, questo ti distingue, quindi devi aggiungere 3. Segui? Bene. Allora adesso andando avanti capisci che tutto sommato devi fare :2 perché la maggior parte delle volte si è in due, giusto? Ecco. Altrimenti se sei da solo questo passaggio lo puoi saltare, se sei accoppiato con più di uno, allora divivi per tre, quattro, insomma vedi tu. E poi da 2 succede che ci si moltiplica, quindi aggiungi 1, o 2; a volte nel passato é anche successo +11, anche +15, per dire. Quindi, segui il ragionamento, se il senso della vita è 42, io ho fatto i calcoli, è facilissimo: siccome ho due figli, calcolando viene fuori 26 (arrotondando un po', in verità per essere precisi precisi 25,6 periodico), perché va fatto così:[("Io"+3(lettere del mio nome)) x 3 : 2] + 2 = 42, e viene 26, ma poi da 26 si deve fare 2+6 e allora il totale fa 8.
Quindi, segui il ragionamento, Io = 8.
Eh, è bello otto.
Otto mi piace.

Vedi, adesso che lo so, è tutto più preciso, ordinato, cioè, adesso è facile. Non sono poi così tante le possibilità, le confusioni. Otto. Basta saperlo.
Otto, eh. Cioè, uno ti fa una domanda esistenziale, e te gli puoi sempre dire: guarda, nel mio caso, otto.
E' tutto molto facile.
Sì, insomma, sei a posto.
Consiglio, dà serenità.
Otto.

sabato 12 dicembre 2009

Rivoluzione

Mi ricordo che quel giorno ero da mia nonna, ero seduta sul divano, nel mezzo: lei da una parte e il nonno dall'altra.Tutti e tre stretti sotto la coperta di lana a scacchi, il salotto in penombra. Sapevo che il nonno stava per chiudere gli occhi, mancava poco; allora mi ricordo bene che ho pensato che me lo dovevo godere proprio quel momento, che poteva essere anche l'ultimo, a potermene stare accoccolata tra loro due.

- Nonna, ti racconto una storia?
- Sì tesoro, raccontami una storia.
(che bello, la nonna mi chiama sempre tesoro).
- E' la storia di una signora che ha la tua età più o meno, ma lei è molto vecchia, te no. Quanti anni hai tu?
- Eh, quanti anni ho... Non so, son del '21, ne ho...
- Mmmh, ottantotto, nonna.
- Osta però! Già ottantotto... Ma sei sicura?
- Sì nonna, sicurissima.
- Ma in che anno siamo?
- 2009.
- Ma dici davvero? Osta però, già il 2009.
- Già. Comunque questa donna era una donna molto severa, era sempre stata severa, nella sua vita. E' in treno, sta andando al mare.
- Oh, che bello il mare.
- Sì. E nel vagone con lei ci sono dei ragazzi. Lei non li sopporta i ragazzi, sai?
- No? e perché?
- Perché sono volgari, dice lei. E poi non sanno parlare l'italiano. Pensa che era così severa, e anche un po' stronza, direi, che una volta è successo che nel cancello di casa sua aveva trovato un cartello con scritto sopra: "Si pregano i signori inquilini di non gettare le carte per terra".
- E allora?
- E allora, siccome c'era scritto inquilini con la c e non con la q, lei lo aveva corretto con la matita blu.
- Noooo
- Sì sì, perchè lei era stata una professoressa di greco e latino, e si indignava, non resiteva.
- Ma pensa...
- Sì, nonna. Era tornata a casa, quel giorno, apposta a prendere la matita blu, quella degli errori gravi. Questa donna si arrabbiava molto. Era sempre arrabbiata. Era sempre stata arrabbiata, per una vita intera.

Il nonno fa un grugnito. Chiede dell'acqua. Gliela porto.

- Nonna?
- Eh?
- Lo sai che un pittore, che era anche un poeta, una volta ha scritto una poesia, diceva più o meno così: "Dev'essere una sorta di naufragio quando da vecchi ci si arrabbia ancora per qualcosa". Tu ti arrabbi ancora, nonna?
- Mah, sai, insomma, sì, perché delle volte il tuo nonnino mi fa arrabbiare, sai com'è...Ma, questa signora... che bella storia, è vera?
- No, l'ho inventata adesso. Ah, sì, ecco, stava andando al mare, in treno. E con lei c'erano questi ragazzi che andavano a fare una manifestazione. Era il '68, è una storia di tanti anni fa. E, insomma, lei non li sopportava. Questi parlavano di rivoluzione, ma lei non credeva proprio nella rivoluzione. Non era mai cambiata lei, figurati se pensava alla rivoluzione.Tu nonna credi nella rivoluzione?
- Mah, non so. Mi ricordo gli operai fuori dalla fonderia che si attaccavano ai cancelli perché volevano dei diritti, e che il padrone li buttava dentro a bastonate. Ti ricordi la fonderia dove abitavamo io e il nonno?
- Come no! Tutto quell'odore di ferro cotto. Mi ricordo che il nonno mi portava in guardiola a premere i bottoni colorati per aprire e chiudere il portone d'ingresso. Mi ricordo la mensa degli operai, i tavoloni di ferro che erano altissimi, per me, le tute blu, tu che preparavi le tavole della mensa, in quella sala enorme, e mi ricordo anche gli operai, omoni che mi facevano un po' paura, ma alla fine ridevano e allora poi non mi facevano più paura.
Scuote la testa. Alza le spalle. Le alzo anch'io. Batte con dolcezza la sua mano nella mia. Silenzio. Pensiamo. Poi sospiriamo all'unisono. E' bello sospirare all'unisono con la nonna. Dopo sospira anche il nonno. Sembra che dorma, ma non so mica se dorme.
- E allora, la signora?
- I ragazzi del treno, quelli nel suo vagone, ecco, lei non li sopporta. Sono vestiti male, hanno i capelli lunghi, parlano tanto e a voce alta, lei non li può vedere. Poi parlano di peace and love, si baciano senza tener conto che c'è anche lei lì, insomma, si chiede dove siano finite le buone maniere, e le ragazze tutte scomposte, sedute con le gambe allargate, e tutta quella passione, poi, e lei li odia ancora di più.
- Oh, che vecchiaccia. Perché?
- Perché lei, nonna, non ha amato mai.
- Mai?
- Mai.
- Oh, poveretta. E perché?

Mi piace la nonna. Io mi invento una storia lì per lì per lei, e lei è come se le stessi raccontando una storia vera.

- Perché aveva avuto una delusione da ragazza, il suo amore era partito per la guerra e non era più tornato. E da allora non ha più voluto amare nessuno.
- Ah. Io, al tuo nonno, sai cosa gli ho detto quando è partito soldato? gli ho detto: Ti sposo solo dopo che torni dalla guerra. Ché se muori, almeno, mi posso sposare un altro.

Minchia nonna, devo averlo preso da te il mio romanticismo.

Poi è successo che era pronto e siamo andate a mangiare. Mentre raggiungiamo la cuicina, la nonna capisce che non posso più andare avanti nel racconto. Non è soddisfatta. Ci stiamo sedendo a tavola.
- Ma poi, come finisce questa storia?
- Che lei muore.
- Muore? come, muore? così?
- Eh, sì. A stare a contatto con quei ragazzi, ad un certo punto, si rende conto che lei, nella sua vita, non ha vissuto per niente, trincerata dietro la sua rigidità e dietro un antico dolore. Le sale una fitta pazzesca e acuta dal petto, non fa in tempo nemmeno a stringersi con la mano e fa un infarto secco. Bum. Morta. Stava scendendo dal treno, e al secondo scalino, bum, infarto secco. Fine. Morta.
- Cade dalle scalette? Oh poveretta, ma si fa male?
- Muore nonna, non è che si fa male, muore proprio.
-Ah.
- ...
- ...
- ...
- Ma non si finisce una storia così, dai.
- Eh, nonna, non sono mica il cinema, io.
- Bella, comunque, dovresti scriverla.
- Ok. Magari, un giorno. Non si sa mai.
- Buon appetito tesoro.
- Grazie nonna, anche a te.

Ogni riferimento a cose, eventi o persone citate non è per niente casuale.
Il poeta di cui sopra è Paul Klee.

giovedì 3 dicembre 2009

A pescare a casaccio

Oggi sono annoiata, girata e ho anche mal di testa. Allora ho preso diversi pezzetti di carta, ho chiesto a Figlio Grande di dirmi un po' di parole a vanvera e le ho scritte. Poi li ho girati, ne ho pescati quattro a casaccio, ho messo congiunzioni e articoli q.b. ed è venuta fuori 'sta frase qua:

"I mandarini saltano le renne e le ciabatte".

Non che la cosa mi abbia fatto passare il mal di testa, però mi son divertita. Poi ho pensato che deve essere facile fare il politico.

martedì 1 dicembre 2009

Fallo

Compra!
Compro.
Mangia!
Mangio.
Non mangiare, fa ingrassare!
Non mangio.

Sii bello!
Son bello.
Più bello!
Più bello.
Brutto carattere!
Brutto carattere.
Adesso, invece, bello!
Bello!
Sorridi!
Sorrido.
Serio!
Serio.
Impegnato!
Impegnato.
Distraiti!
Mi distraggo.

Usa il computer!
Uso il computer.
Meglio!
Meglio.
Ancora meglio!
Ancora meglio.
Telefonino!
Telefonino.
Più figo!
Più figo.
Di più!
Di più.

Ama!
Amo.
Non amare più!
Non amo più.
Disprezza!
Disprezzo.
Di più!
Di più.
Tradisci!
Tradisco.
Tante donne!
Tante donne.
Solo una!
Solo una.
Zoccola!
Zoccola.
Di più!
Di più.
Adesso di meno!
Di meno.
Santa!
Santa.

Ricco!
Ricco.
Lavora!
Lavoro.
Non lavorare più, non c'è lavoro!
Non lavoro più.
Corri!
Corro.
Di più!
Di più.
Adesso vai piano, che a correre vengono le nevrosi.
Non corro più.
Più piano!
Più piano.
Di meno!
Di meno.


Adesso, pensa.
...


A cosa?



(Ecco. Appunto.)

sabato 28 novembre 2009

Sono solo coincidenze.

Quando abitavo con mia mamma e mio babbo, tutti i gatti della via e forse anche del quartiere, a giudicare dalla quantità, venivano ad abitare nel giardino di casa nostra. E anche i figli delle gatte femmine, e poi i figli dei figli, e i figli dei figli dei figli, i nipoti e i pronipoti e i propropronipoti (nel giro di un anno massimo due, ovvio), tutti nel nostro giardino. E siccome alla fine succede che una casa piena di gatti è per tutta la via e per tutto il quartiere e per tutta la città la "casa dei gatti", i gatti continuavano ad aumentare. In primavera le gatte andavano in calore, venivano i calori anche a mia mamma, a me veniva l'asma e mia sorella se li sarebbe portati tutti nel letto.
Secondo me arrivavano anche gatti da posti lontanissimi; si era sparsa la voce. Succede così, la gente dice: "portali alla casa dei gatti, in via così e così che c'è una casa piena di gatti". E la gente di notte arriva e ti scarica in giardino l'ultima nidiata della personal-gatta.
Non ho mai capito perchè una casa piena di gatti diventa automaticamente il gattile di zona. Non l'ho mai capito, ma è una verità. Mia mamma si incazzava tutte le volte ma tanto i gatti si moltiplicavano lo stesso. Se ti fai una fama, fai fatica a liberartene.

E insomma è succeso che quando siamo andati ad abitare nell'ultima casa, anche lì il giardino era il "giardino dei gatti" già da lunga tradizione (vedi il fato), ma per fortuna lo era di più il giardino della signora che ci viveva davanti e quindi tutti i gatti di tutte le razze e stazze finivano da lei.
Un giorno però è piombata nel nostro giardino una gatta piccola bianca e nera che era una bellezza. E se lo dico io, che era una bellezza, è vero, altrimenti non lo direi, perchè io, i gatti, non li sopporto.
(Ma se c'è un gruppo di persone e un gatto, vedi che il gatto viene a strofinarsi da me. Consapevolmente e senza speranze, eppure viene da me a fare meeeeooo e a strisciarmi la gamba e a rotearsi in tutto quel balletto con la schiena per farsi accarezzare. Non mi incantano, lo sanno, ma vengono da me. Anche questa è una verità). Io, a questa gatta, per puro dispetto sadico e mal sopportazione da sfinimento della razza felina, l'ho chiamata Paolo. Quando tornavo a casa da scuola e la vedevo in giardino, le dicevo con distacco Ciao Paolo, e godevo dentro. E poi mi son sentita anche una persona molto divertente e burlona perchè succedeva che quando mi chiedevano Come si chiama il tuo gatto, io dicevo è una femmina e loro mi dicevano che bella, come si chiama, io dicevo Paolo e loro ridevano.

Ora.

Torno a casa con un libro nuovo. Godo: divano, copertina, figli sistemati, tempo, me lo leggo.

Ad un certo punto (e porcaccia, mi succede eh, mica una volta, non si contano 'ste coincidenze), leggo questo:

"Che io corro al telefono, schivando la gatta, che la mia gatta Paolo prende paura, tutte le volte che squilla il telefono, corro al telefono, rispondo Pronto![...]"

Ora.

Ma come cazzo.

Ma dico io.

Ma io lo so che le coincidenze, cioè, c'è tutta una teoria che alcuni dicono che non esitono, io mi sono veramente rotta, io ho una mente fragile su 'ste cose, mi ci vuole poco. Io, adesso, lo so, passo la serata sotto la coperta in ginocchio col sedere per aria, nel bozzolo col dito in bocca a arrotolarmi i capelli, a cercare teorie, tiro in ballo la metafisica e la fisica quantistica, mi ci vorrebbe un santone, ma perchè, perchè, devo smetterla di cercare di capire perchè, perchè a qualcun altro è venuto in mente di chiamare una gatta Paolo. Può succedere, succede a un sacco di gente, succede, no? certo che succede, non è così strano, ci saranno un casino di gatte femmine che si chiamano Paolo, mica solo a me viene in mente una roba così di chiamare una gatta Paolo, figuriamoci, è che non lo vengo a sapere, ma è ricorrentissimo, solo che io non lo vengo a sapere, no? vero?

Ma perchè a me?
Io sono fragile.
Perchè-succede-sempre-a-me?

martedì 24 novembre 2009

Che il cuore è nella pancia

Vedere il mondo con gli occhi di un bambino è possibile solo se lo sei, un bambino, perché il bambino vede certe cose per la prima volta, il suo sguardo è vergine, non ha ancora attaccato etichette a tutte le cose, ché ci mette un po', ad attaccare le etichette. Quindi si fa presto a dire "Guarda il mondo con gli occhi di un bambino". Non si può. Si fa per dire.

Però l'altra sera stavo tornando a casa e c'era una di quelle belle nebbie fitte. Per strada c'ero solo io.
C'è un cavalcavia che devo fare, lo faccio centomila volte al giorno; e c'era una fila di puntini tondi luminosi, uno dietro l'altro, allineati nel mezzo del cielo, creavano un disegno sfocato. Me li sono goduti, erano bellissimi, non mi sono neanche chiesta cosa fossero, palloni luminosi sfocati nel mezzo del cielo; erano belli e basta, erano allineati e facevano una curva in su e poi una in giù e si perdevano dentro la nebbia, correvano fin là in fondo. E a guardarli mi è salita quell'eccitazione che è bella, paurosa, uhauahahua, così, da spalancare gli occhi, da spalancare la bocca. Che il cuore è nella pancia.

E allora mi sono avvicinata piano piano. Erano i lampioni. Erano, semplicemente, i lampioni. E' perché non si vedeva la strada, è perchè si vedevano solo loro, è per quello che non li ho capiti subito. E' per quello che me li sono goduti, così, senza chiedermi perché e percome, a occhi sgranati, come fa un bambino quando vede le cose per la prima volta, ancora senza etichette sopra, da solo con il suo incanto, con il suo stupore, con quella paura che è bella e che gli sale su dalla pancia.

lunedì 23 novembre 2009

Vorrei fotografare tutto

Torno a casa da scuola in macchina e guardo fuori. Sono felice, l'autunno mi piace. Vorrei fotografare tutto. Il signore con la tuta blu che carica sul camion le foglie secche; la donna in bicicletta con le calze di lana, col fazzoletto in testa e la borsina di plastica della spesa nel manubrio; quella vecchia fabbrica rossa svuotata di tutto che le sono rimaste in piedi solo le mura alte col tetto a punta, e sono tutte rotte, ci sono cresciute dentro anche le erbacce.

Mi piace, oggi, l'autunno. Ci sono tutti i colori, ci sono gli alberi che si perdono lungo l'argine, ci sono le case sparse qua e là mezze diroccate e a pezzi e senza le finestre e con tutta l'edera che s'arrampica fuori; quelle che a guardarle penso che mi viene voglia di fermarmi e entrare dentro e scoprire che ci abitava una strega e poi scappare via piena di paura; ci sono le gru, c'è il cielo grigio. Ci sono due alberi nel mezzo di un campo, sono vicini. Uno è grande e uno più piccolino. Si tengono compagnia e quando c'è il vento si fanno i dispetti, ma si vogliono bene. Sono uno maschio e l'altro femmina, e guardano la strada e le macchine, e non si annoiano mai. C'è l'uccello, sempre lo stesso e sempre nello stesso punto, che è in aria e sbatte le ali guardando giù. Tutte le volte mi chiedo cosa guarda. Sta lì per un sacco di tempo. Io corro veloce, ma lo so che lui sta lì parecchio a sbattere le ali e a guardar giù.

Là, in quel campo là, qualcuno deve averci svuotato una casa, ci sono delle robe bianche di ceramica rotte, vecchie, buttate per terra, sono dei vecchi cessi di ceramica, dei water, tutti accatastati, sembra che abbiano fatto un volo da lassù, dall'ultimo piano del palazzo. Fotograferei anche quelli. Poi, a guardarli, buttati lì così, si vede che sono cessi che li hanno usati e adesso non servono più, mi fanno un certo non so ché, mi viene in mente che hanno fatto la fine di quelle robe che non servono più e allora qualcuno le butta dalla finestra e poi ciao, basta, tanti saluti.

Vabbè, oggi sono felice, è bello l'autunno, è bello il cielo tutto grigio e lungo fino in fondo alla campagna, il campo grande e gli alberi spogli in fila sopra al fosso.
Mi piace abitare qui.

Vorrei fotografare tutto, ché tanto lo so che il paesaggio cambia e quando sarò grande non ci sarà più, non sarà più così, sarà tutt'un altro, me lo dice sempre il nonno che una volta non era così; e allora quando anche questo diventerà 'una volta' non sarà più così ma sarà tutt'un altro, sarà tutto diverso da adesso.

Ma non ce l'ho la macchina fotografica.

Va bene, fa lo stesso, non importa.

Tanto io lo fotografo dentro; perchè così, dentro, non si sciupa mai.

sabato 21 novembre 2009

Io


Io
che non sono mai morta
sono nata tre volte

venerdì 20 novembre 2009

Stran ieri

La mediatrice culturale è arrivata in orario. Adesso parla con la mamma di una mia alunna. E' bellissimo sentirle parlare in questa lingua a me completamente sconosciuta. Ha un suono molto piacevole da ascoltare: è dolce ma ci sono anche suoni gutturali forti, soprattutto quando il discorso si fa accalorato, o quando parla intenerita della sua bimba e racconta qualche episodio a casa, o quando la imita. E poi noto che c'è una parola, sempre la stessa, che si ripete all'inizio di ogni frase. Penso che sia un intercalare di questa mamma, lo fa anche quando mi parla nel suo stentato italiano, adesso credo che la capirò di più. Credo anche di aver capito come si dice maestra, mi sforzo di seguire il loro discorso. Conosco bene questa mamma e qualcosa, davvero, credo di capirlo. Ad esempio mi sembra di capire che "giovane", o "piccola", sia una parola simile all'inglese "young". E ho anche capito che c'è una parola, "libertà", che detta vicina al nome di una persona vuole significare che a questa persona piace sentirsi libera. Nemmeno la traduttrice riesce a comprendere fino in fondo, forse dal contesto di tutto il discorso sfugge la traduzione; deve essere davvero complessa, come lingua (io però ho capito benissimo: a nessun bambino di tre anni piace rientrare nelle regole della scuola).

Ogni tanto, quando non si capiscono per via della pronuncia, scrivono. Ed è ancora più bello. I segni di questa lingua sono affascinanti, non l'avevo mai vista scrivere dal vivo. Se non fosse che credo davvero che sia difficilissima, mi verrebbe voglia di impararla, di saperla parlare, di saperla scrivere.
La mamma mi chiede informazioni sulla sua bimba a scuola, soprattutto vuole sapere se gioca con gli altri bambini. Le racconto che sì, al contrario dei primi giorni, ora la bambina comunica e gioca con alcuni amici che preferisce (i bambini di tre anni si capiscono sempre tra di loro, credo che sia per via del fatto che loro si ascoltano davvero). Insomma, le racconto un episodio nel quale la sua bimba, vedendo un'altra bimba piangere (piangeva perchè un compagno, per prendere un libro, l'aveva letteralmente travolta), le si era avvicinata e le aveva detto, con la testa un po' inclinata per guardarla meglio: "Mamma?", e dopo avermela indicata perchè mi prendessi cura di lei, le aveva fatto una carezza. La mamma sorride.

A questo punto la mediatrice culturale mi fa una domanda; mi chiede se la bambina che piangeva è straniera.
Lì per lì non capisco la domanda e gliela faccio ripetere. Sì, vuole proprio sapere se l'altra bimba è straniera. Ci devo pensare un po'. Giuro. Nel senso che No, non è straniera, è nata in Italia tre anni fa. Però forse lei non vuole sapere questo. Per motivi a me sconosciuti lei vuole sapere se la famiglia della bambina è straniera. No, cioè, che ne so, mh, ma in che senso "straniera"? No, rispondo, credo di no. Ma cosa vuole sapere, veramente? Però la famiglia in questione proviene da un altro paese, dico, è facile riconoscerlo dai tratti somatici. Io non so da quanto tempo siano in Italia, l'italiano è una lingua che conoscono molto bene e anche la bambina lo comprende bene. Ma tanto vedo che la cosa non è importante e infatti la discussione prosegue da dove era rimasta.

Non sapevo dare una risposta. Soprattutto non riuscivo a capire a cosa le servisse tale informazione. Ancora me lo chiedo.
Straniero.
Mah.

Io so che finché non entro in relazione con qualcuno, con i mezzi che ho a disposizione, son tutti stranieri, per me. E, a volte, capita che straniera sia la persona che credevo di conoscere di più. E per fortuna, perchè si cambia. E spesso succede che mi ritrovo straniera a me stessa, pure, scoprendomi diversa da come pensavo di essere. Quelli sono i momenti più belli, i momenti nei quali mi rendo conto di essere viva, e di pulsare, e di essere intelligente. Ma questo è un altro post.

domenica 15 novembre 2009

Speriamo che non piova

L'ultima volta che sono andata dal dentista, mentre quell'uomo con tutti quegli attrezzi faceva quel che doveva fare, era tutto un Apra Chiuda Apra Chiuda. E io aprichiudiaprichiudi. Solo che ogni volta si sentivano dei rumorini, una volta stock, un'altra cricricri, e poi stockcricricri n'altra volta. Allora il mio dentista, che è uno bravo e che si preoccupa tanto per me, mi chiesto se la mia mandibola fa così spesso, e io gli ho detto che Beh sì ogni tanto e lui allora mi ha detto Stia attenta, se va avanti così bisogna fare qualcosa. Ah sì? perchè? Ma no, dài, non è niente in fondo... (ci provavo anche, io, a minimizzare, pigra dentro che già mi vedevo nello sbattimento di dover porre in qualche modo rimedio).
Eh, non è vero che non è niente.
Ma cosa potrà mai succedere?
Che un giorno lei sbadiglia e le resta la bocca aperta.
Aperta che cioè non riesco più a chiuderla?
Aperta. Stop. Bloccata.

Ok, ok, ho pensato, allora devo provvedere. Non girerò mai più senza macchina fotografica, ché se succede devo assolutamente immortalare la scena prima che mi ricoverino per rimediare all'increscioso fatto.

venerdì 13 novembre 2009

Urca urca sbirulero

Ieri sono stata ad un corso di formazione tenuto da Gabriele Boselli (Ispettore scolastico della regione Emilia Romagna). Ha parlato dell'Essenzialità e ha usato parole bellissime che potrei anche citare ma sarebbe lunghetta. Per farla breve, ha parlato della differenza tra essere meri insegnanti (erogatori di una prestazione) e Maestri (che fanno dono di sè). Ha parlato di insegnamento come dono (come vocazione ricevuta); ha parlato di passione, di amore per il lavoro di insegnante, di essere capaci di divertirsi; ha parlato della scuola come luogo di vita, come luogo di "attrazione" e non di "spinta" verso la conoscenza, nel quale emerge il bisogno di una creatura vivente - l'insegnante e l'alunno- di essere se stessa e di vivere in maniera autentica. Vivere, soprattutto. Ha parlato del bello dell'inatteso, dell'aprire al nuovo, dell'avventurarsi assieme nelle tenebre, di affiancare all'assodato il dubbio. Ha parlato della differenza tra complicato (sistema sofisticato e/o intricato ma dal comportamento prevedibile, come ad esempio un orologio) e complesso (sistema dal comportamento non prevedibile che sfugge ad ogni tentativo di riduzione -pena il fare grandi macelli- come ad esempio è il contesto scolastico).

Ha parlato tanto, ha parlato bene (è sempre un piacere stare ad ascoltarlo).
Poi ha parlato anche degli scenari scolastici che divengono in Italia progressivamente più difficili (alla scuola viene destinato meno del 3% del pil). Ha detto che continueranno i tagli e che alla fine, taglia taglia, ne resterà solo uno, l'highlander. ahah (abbiamo anche riso). Il maestro unico, appunto. Ha detto che le commissioni pedagogiche del governo stanno lavorando al Piano Programmatico (quello che avevamo è scaduto) e che si lavora verso il contenimento della discesa qualitativa causato dallo scenario bla bla (la complessissima teoria dell'essenzialità, nata per far fronte ad una emergenza, nata per difesa, nata per salvaguardare la qualità scolastica).

In macchina, tornando a casa, ho pensato a tre cose:
1. sì, sono un'insegnante che tende a tale complessità e me la caverò bene (ho avuto il dono, sono tra i prediletti);
2. se però le cose nella scuola non funzionano bene, agli occhi della cittadinanza illuminata dal faro delle tv, la colpa sarà sempre e comunque nostra;
3. ok, ok, mi rimboccherò le maniche, tanto ho capito, h-o c-a-p-i-t-o: non ci sono più i soldi nemmeno per la vaselina.
Aiha
(Ma che bello, però, oh! io sono tra i prediletti, io ho il dono).

Essenzialità
Essenzialità è un'idea cardinale nella tradizione filosofica e, più recentemente, nella teoria della complessità. E' teoresi comune sia alle Indicazioni del 2004 che a quelle del 2007 ed è l'alternativa alla mera e riduttiva semplificazione. Essenziale nella scuola non è l'acquisizione di competenze ma di una pura, indifferenziata, aprente capacità di conoscere. Essenziale è ciò che invita a ulteriorità. Essenza dell'essenziale è l'amore.
Gabriele Boselli

Urca urca sbirulero
(ma anche sti cazzi però)

giovedì 12 novembre 2009

Siamo diversi, vedi?

Siamo diversi, vedi? Non siamo tutti uguali, no no, decisamente no. Io, ad esempio, amo i ragni. E a casa mia non ce ne sono più e questa cosa mi preoccupa anche un po'. Ma no, mi dice la signora con cui lavoro, adesso non è la stagione dei ragni. E io che nemmeno sapevo che esistesse la stagione dei ragni. Comunque a me piacciono, i ragni, ad altri fanno schifo, qualcuno li teme e a qualcun altro sono totalmente indifferenti.

E poi c'è mia nonna. Quando da piccole le dicevamo Nonna guarda un ragno, lei lo prendeva con le mani, al ragno, e strizt, lo stritolava. Con una mano sola. Fine, stritolato. Ma anche quelli grossi eh, quelli neri e pelosi, quelli con la croce gialla sopra la schiena. Quelli che dopo, la notte, pensavi che i suoi parenti venivano nel letto a vendicarsi.

E poi c'era Efrem, il mio vicino di casa, che mangiava le ragnatele per fare schifo alle bambine. E le bambine dicevano Aaaaaaaaaaaaaah, che schifo! E lo amavano. Ogni leccata, bam, un'innamorata. Lo amavamo tutte, Efrem. Io avevo otto anni e anche lui aveva otto anni e aveva anche un fratello, ma suo fratello era già un uomo, aveva dodici anni e i segni sulla faccia perchè suo padre gli dava con la cinghia. Era già un uomo lui, aveva bruciato il diario in classe e allora girava per la città invece di andare a scuola, perchè per una settimana doveva stare a casa. E io non ho mai capito perchè uno che la fa grossa poi per punizione sta a casa da scuola. Ma per lui forse era vero che era una punizione stare a casa.
E insomma Efrem che amavamo di più solo perchè non aveva ancora dodici anni e non era ancora un uomo, mangiava le ragnatele per fare schifo alle bambine, mentre suo fratello bruciava i diari e altra roba. Tipo una volta si è dato fuoco a una scarpa. Efrem gli ha detto Adesso il papà lo senti. Lui, che era già un uomo, lo ha guardato e ha fatto spallucce. Poi ha tirato su il moccolo col naso in maniera molto adulta guardandoci e facendo gli occhi piccoli.
Siamo diversi, vedi? uno i ragni li ama, l'altro li schiaccia, l'altro si mangia le ragnatele.

Allora ieri, quando ho visto questo cartello: Acquario, Cani, Gatti, Rettili. Zoo. 100 m a sn, ho pensato che c'è veramente gente che compra un rettile. Certo, ho pensato, andare a caccia di lucertole a quarant'anni non sta bene, allora uno se lo compra, tipo, un serpente, e se lo porta a casa. Poi al bar dice alla bella di turno Vieni a vedere il mio rettilone?
Siamo diversi, vedi? che magari lei ci va, a vedere il suo rettilone, e in cuor suo spera anche, magari, che lui si mangi le ragnatele.

venerdì 16 ottobre 2009

La visione delle cose

Ieri sera tornavo a casa in auto, giù per quella strada tra la campagna e il mare. Mi sono fermata, sono scesa, ho guardato tutt'intorno. Era pieno di cieli.

lunedì 12 ottobre 2009

Tutto in una volta

Un giorno in un paese è successo che era un po' nuvolo, e dopo, tutto in una volta, così, di colpo, dal cielo è scesa una unica pazzesca enorme goccia di pioggia. Tutto in una volta, sulla testa della gente di quel paese.
E dopo che era caduta questa goccia, la gente di quel paese, completamente fradicia e spiazzata, guardò su.
E allora è successo che dopo, ma subito dopo, tutto in una volta, c'era già il sole.

sabato 3 ottobre 2009

Sulla schiena nuda

Da piccola, d'inverno, i miei capelli diventavano lunghi lunghi. E mi piaceva tanto averli lunghi, eccome se mi piaceva. Poi arrivava l'estate e la mamma mi diceva: Vieni che tagliamo un po' i capelli.
No, mamma, quello non era "tagliare un po' i capelli".
Ma non piangevo. Non piangevo quasi mai, io, fuori.

Adesso posso avere i capelli lunghi. Io adoro avere i capelli lunghi. Ogni tanto mi faccio mettere la mano dal mio amore per vedere dove arrivano, e tengo la testa dritta, sto ferma, sorrido, aspetto di sentire il punto sulla schiena.
A volte, se ho un po' di tempo per me, gioco come una bambina e faccio ondeggiare la testa di qua e di là per sentire i capelli che strisciano sulla schiena, una carezza di capelli sulla pelle nuda.

Eppure.
Eppure, chissà perchè, quando vedo un laccio in giro per casa, o al lavoro, o in auto sparso da qualche parte, lo prendo e mi lego i capelli. Sempre.
Intendiamoci, qualsiasi cosa può essere un laccio: una forcina, una penna, un bastoncino, un pennello, un fazzoletto. Una volta ho tentato di fermare una codaccia con un accendino. Fallendo. Tempo di tenuta 5 secondi.

Ma io, veramente, continuo ad adorare i capelli sciolti, lunghi, sulla schiena nuda.

(dedicato a lei)

martedì 29 settembre 2009

Non sembra neanche vero (2)

La mia Sara (fonte continua di sorprese e soddisfazioni inaspettate)


"A Sara piace chiudere gli occhi", Ed. Fulmino, Maggio 2009

pochi giorni fa era qui.
Ed è andata a ruba (nel senso che l'editrice l'ha messa sul tavolo in esposizione e se la sono portata via).



E io lo so che poi lei era lì che faceva tutta la bella di fianco a quei capolavori di libri d'arte...



La mia piccolina!

L'amore ha tante facce

Dialogo. Figlio Grande mangia, io mi preparo ad andare a prendere Figlio Piccolo alla scuola materna.

Io: Allora vado a prendere il piccolo, ok?
Figlio: ma lascialo lì dov'è
Io: e pensare che lui ti adora
Figlio: e allora? Io no
Io: mi ricordo che quando eravate più piccoli, ti venivo a prendere alla scuola materna e poi lo andavamo a prendere insieme al nido e tu appena lo vedevi tutto bello piccolino e cicciotto ti abbassavi e lo aspettavi a braccia aperte, lui ti correva incontro e vi stringevate forte
Figlio: era piccolo e carino. Adesso è insopportabile
Io : ma lo sai che il sabato, che sei a scuola, la prima cosa che mi chiede quando si sveglia è dove sei?
(Mai insistere, mai, mai, mai. Non imparo, non c'è verso)

A questo punto, evidentemente sfinito, Mio Figlio ha fatto una cosa incredibile: mi ha guardata con l'aria di chi sa che ha di fronte una che non vuole capire, ha alzato il sedere verso di me appoggiandosi con le mani sul tavolo e, senza neanche scomporsi più di tanto, mi ha mollato una sonora trombettata.

Ora, in quanto madre che ha partorito Questo Essere con dolore, l'ha nutrito dal Suo seno, ha perso ore e ore di sonno, l'ha accudito, curato e amato e che tutt'ora continua ad accudire, curare e amare incondizionatamente, ebbene, in quanto Sua Madre, Io basisco. Credevo di conoscerlo, tutto m'aspettavo, ma questa poi no!
E' incredibile!
Mio Figlio Grande sa tirare scoregge a comando.

domenica 27 settembre 2009

A cercare le parole

E' successo che stavo riflettendo sul fatto che con taluni io mi sento il contrario di affine. Allora ho cercato una parola per dirlo, per dire che io non mi sento affine con qualcuno. E non l'ho trovata, questa parola. Non c'è. Semplicemente non esiste la parola per indicare la mia non affinità con quelli lì.
Allora ho cercato il contrario di "affine".
Ma la parola che sto cercando non è "dissomiglianza", perchè "affine" non è proprio come dire "somigliante"; non è "estraneità", non mi convince; e non è "diversità", perchè io posso sentirmi affine anche nella diversità, credo; e quindi non è nemmeno "differenza".

Non lo so che parola cerco.
Forse la lingua italiana non la prevede.

mercoledì 23 settembre 2009

Tic Tac

Penso alla voce degli orologi. Gli orologi non fanno tic tac. Nessun orologio ha mai fatto semplicemente tic tac.
La sveglia di mia nonna, quella rossa e grande, quella che aveva sopra una specie di roba tipo cappello che se lo toccavi inziava a saltellare a destra e sinistra che pareva una testa un po' matta, quella sveglia faceva sciaffff sciaffff e ogni secondo durava un mezzo tempo eterno, e io, dalla nonna, mi addormentavo nel letto che avrà avuto sette materassi per quanto era alto e morbido, cullata e felice.

Poi c'era la sveglia di quando ero ragazzina che non aveva i secondi perchè per lei il tempo era un tutt'uno continuo, una roba tipo tititititititi. Schifezza. L'ho barattata con una vecchia sveglia che andava a carica e se mi dimenticavo di caricarla quando andavo a dormire, la mattina non suonava. Ma tanto mi svegliava la gatta che mi faceva gli agguati ai piedi, puntuale alle ore sette. E poi io ero felice che non suonasse, quella sveglia, ché ogni volta facevo un infarto per colpa del suo trillo isterico. Ma anche se era isterica quando suonava (neanche ci fosse dovuta andare lei, a scuola), nel battere i secondi aveva proprio una bella voce e io l'adoravo. Durante la notte, o mentre facevo i compiti, nel silenzio, lei faceva il suo spat...spat...spat...spat. Siamo state insieme per anni.
Poi c'era l'olologio da polso delle medie che, in modo secco e preciso, segnava il tempo con il suo sciss-sciss-sciss. Nei momenti di massima noia me lo portavo alle orecchie e lo ascoltavo.
Poi, un giorno, non ci ho più fatto caso, alla voce degli orologi.

Questa sera ero sola a cena e per caso ho sentito la voce dell'orologio a muro della mia cucina. E' un orologio grande, bianco, con il bordo e i numeri scritti in nero, e sembra un vecchio orologio della stazione centrale delle fs. Lui batte i secondi in modo regolare e preciso, ma io lo so che è un po' annoiato. Stump Stump Stump Stump. Non sbaglia un colpo, il vecchio. C'è che bisogna essere molto silenziosi per sentirlo, e la mia cucina non è silenziosa mai.

E poi, sempre questa sera, mentre mi pettinavo, ho portato la mano sinistra verso l'orecchio. Ho cercato di sentire la voce del mio orologio da polso. Niente. Ho controllato se lo avevo addosso. Sì, c'era. Solo che il mio orologio da polso è muto.
E allora ho pensato che non va bene che gli orologi moderni da polso siano muti.

martedì 22 settembre 2009

:pueblo:

Oggi c'è stata la riunione alla scuola di mio figlio (terza elementare). Le (eccellenti) insegnanti hanno subito presentato la delirante situazione in cui si trova la scuola in generale e il nostro plesso in particolare grazie alla recente riforma?-Gelmini (in modo molto diplomatico e non polemico come farò invece io che sono francamente incazzata nera): taglio di cattedre con conseguente rimescolamento delle insegnanti per le classi, tra le quali alcune usate letteralmente come tappabuchi buttando al cesso competenza e specializzazione in una determinata area nonché anni di esperienza e formazione mirata (prevista peraltro dalla facoltà di Scienze della Formazione); marasma totale in diverse classi (quella dell'area linguistica che deve prendere scienze e tecnologia, quella dell'area scientifica che avrà meno ore nella sua classe ma si trova a tappare buchi in altre... un delirio); nessuna compresenza (per il recupero di attività o per far sì che tutti i bimbi possano raggiungere buoni livelli); ovviamente, nessuna gita.
In compenso però, visto il grande risparmio attuato dal governo, non ci sono i soldi per i gessi, per le fotocopie, per i libri della biblioteca, per il materiale per i vari laboratori, siano d'arte, di scienza o di informatica (anzi, ci tiene a precisare la maestra, il laboratorio di informatica non si potrà più fare senza compresenza: non si può andare in aula informatica con 20 bambini e 12 computer, che non vanno neanche tutti) (ah, dobbiamo portare un sapone perchè è un anno che non montano il dispenser in bagno). E se la maestra s'ammala, non è detto che nominino la supplente, perchè non ci sono i soldi. Si ride anche all'idea che "Maestra ammalata, bambini a casa" (della maestra?), come succedeva una volta nei paesini di montagna.
Silenzio e aria tesa. "Facciamo una colletta per aiutarvi", dice uno. "Certo, raccogliamo". "Di qualsiasi cosa abbiate bisogno, ditecelo, eh, mi raccomando", dice un'altra mamma. E avanti, i generosi genitori che non vogliono far mancare nulla ai loro figli...
E alla notizia che la maestra non potrà più nemmeno andare a fare una passeggiata al mare con i bambini (il rapporto insegnante-bambino in uscita didattica è 1/15), un solerte e fantasioso babbo propone di aggirare la legge in questo modo: se la classe ha 20 alunni, quel giorno vengono segnati sul registro 5 assenti (che però vanno in gita lo stesso) e l'insegnante viene affiancata da volenterosi genitori per il giretto in paese. "Peròòò! Eh, dai, si potrebbe fare...", dicono altri in coro.

Ed è allora che ho amato incommensurabilmente la Maestra di mio figlio che ha pronunciato le seguenti parole:
"Se noi maestre, per l'ideale, per il bene dei bambini, per passione e perchè crediamo vivamente nel lavoro che facciamo, continuiamo a voler arrivare comunque sempre dappertutto trovando mille stratagemmi strani, la scuola continuerà a funzionare e difficilmente all'esterno ci si accorgerà delle condizioni in cui stanno gettando la Scuola Pubblica. Questa è la scuola pubblica che vuole il governo. Questo è il meglio che possiamo fare in una scuola così pensata e voluta."

Ammetto che ho avuto un momento di sano godimento.
Questo post è troppo lungo e scritto anche maluccio. Ma chissenefrega.

:pueblo:

venerdì 18 settembre 2009

Un pesce di nome Essebì

Il mio pesce ha tanti nomi (uno per ogni componente della mia famiglia) ma io segretamente lo chiamo Essebì. In fondo noto che è azzurro e nero, misura mezzo mignolo e se gli metto davanti uno specchio è tutto uno sventolio di pinne che lo devi vedere come si muove e si agita (e per questo ho elaborato tre ipotesi: crede di avere di fronte un competitore e allora si gonfia tutto per spaventarlo e prepararsi al combattimento; oppure crede di aver di fronte una pescetta e allora fa il figone; più probabilmente è autocompiacimento).

Ma il vero motivo per cui segretamente lo chiamo così è per l'insana soddisfazione di vedere che:
- la sua vita dipende da un bambino di otto anni
- è muto
- beve e mangia in un'acqua dove fa anche tutte le altre cose.

giovedì 17 settembre 2009

A cena

Figlio: Mamma, sai qual è l'animale più veloce del mondo?
Io: Il ghepardo?
Figlio: Giusto. E qual è l'uccello più veloce del mondo?
Io: Non so... il falco?
Figlio: Sbagliato, è l'uccello del ghepardo.
Io: Ahahaha. Ma allora anche la passera della gheparda!
Babbo: Certo, la passera ghepardata, molto in voga presso le balere locali.

Bolle

Generalmente si sa che la tivvùl ti beve il cervello con la cannuccia. E la guardavo poco, disgustata. L'ho definitivamente spenta quando ho capito che oltre a bermelo, il cervello, la tivvuù ci soffiava dentro per fare le bolle. Adesso al suo posto c'è un'ampolla con un pescetto. Bello bello, il mio nuovo pescetto. E con massima soddisfazione adesso io mi godo le sue, di bolle.

martedì 15 settembre 2009

Tetris

Io sono tra quelle ossessivo-compulsive che al supermercato fanno il Tetris con la borsa della spesa, ricavandone massima soddisfazione (e di sovente applausi degli astanti).
Oggi è stata una giornata Tetris, mi si è incastrato tutto. Mi stavano bene anche i capelli.

martedì 8 settembre 2009

La lettera verde

Arriva una lettera verde a casa, a mio nome. Raccomandata dalla polizia municipale. Ecco, autovelox. Lo so, c'è quella statale che ha il limite dei 110 e io vuoi che non sia mai andata più veloce? Figurati, duemilaseicento volte almeno. Bòn, beccata. Speriamo non sia alta, speriamo non mi tolgano punti alla patente.
E tutte le volte che alle poste ritiri una lettera verde ti guardano come un'assassina. La prima volta il tizio con gli occhiali spessi da dietro il vetro mi ha anche detto "Ah, quando arrivano le lettere verdi non c'è mai da star tranquilli, sei nel penale". Ormai mi viene un infarto, guadagnati 10 capelli bianchi in un nanosecondo. Poi succede che era il ritardo del pagamento della retta della scuola materna del piccolo: cioè, io l'ho pagata due giorni dopo la scadenza e a loro non risultava. Sistemato tutto con un fax. MavaffanDigusto, proprio.
E insomma la multa dell'autovelox è di 49 euro. Grassa, mi è andata grassa, penso. Andavo a 115 all'ora il 10 giugno alle ore 16:46. E allora scatta il "Ma dove ero cosa stavo facendo da dove venivo dove stavo andando ma perchè correvo" ma sopratutto il "Ostia però, con l'autovelox sanno dove sei cosa fai dove vai a che ora in che giorno in qualunque momento praticamente sempre, ostia." E allora sei portato allo sforzo sovrumano di ricordare e mettere in fila. Non son così precisina, ma una cosa la ricordo: quel giorno stavo andando in centro, ho comprato Barbari di Baricco e Underground di Mela (Marco Pesaresi), avevo una maglia rossa ed ero felice.

domenica 30 agosto 2009

Abbraccio

Io sono tra quelli che scarabocchiano sempre. Al telefono, mentre mangio, mentre qualcuno mi parla, mentre penso ai fatti miei. Anche quando ero a scuola, invece di prendere appunti, scarabocchiavo. Mi aiuta a concentrarmi ma è risaputo che ai prof la cosa non piaccia. A parte qualche illuminato (o semplicemente menefreghista) tutti me lo impedivano e da quel momento non seguivo più una parola. Persa. Però li guardavo dritti negli occhi e allora erano felici. E oggi, durante i Collegi Docenti o la Formazione, idem: ho gli appunti pieni di scarabocchi.

Prima ho fatto cerchi. Poi osservandoli un po' è successo che ho visto qualcosa. Ho aggiunto due nasi. Mi piace, sembra un abbraccio.

sabato 29 agosto 2009

"Fra Battere e Levare"

In casa ho una cartolina, la foto riproduce una scultura di Luca Fabbri della quale mi sono innamorata. L'ho osservata per giorni attaccata al frigo e poi ho deciso di disegnarla. Nella scultura l'uomo ha in mano un cuore; nel mio disegno no. Non so perchè. Dietro la carolina c'è un testo, di Nicoletta Verzicco. Lo riporto.


"Voltai il capo e chiusi gli occhi nel momento stesso in cui ti donai il mio cuore. L'avevo immaginato, il mio cuore, lo avevo immaginato battermi in petto, esaltarsi nel ritmo per un sussulto o fare meno rumore per non disturbare il mio riposo. Niente di dovuto. Il cuore. Mi aveva regalato la sua compagnia, discreto o insolente, mai inutile mi aveva costretto a respirare per la vita fino a quando il cuore tuo mi impose di vivere per te. Allora, esso, volle diventare protagonista e battè per impeto e passione, per emozione e pudore, per dolore e gioia, per rabbia e pazzia. Ad esso chiesi tregua, me la negò. Gli suggerii il raziocinio, rise di me. Il mio cuore, ormai, rispondeva solo ai battiti del tuo. Fu dopo un lungo dialogo con la sua armonia durante il quale mi apparve chiaro che esso era compositore e strumentista, direttore d'orchestra e coro, fu dopo parole dette in battere e levare che lo strappai dal mio torace. Era caldo, pulsante, sconcertato, ma era in mano mia. Sospirai e voltai lo sguardo, chiusi gli occhi per non vedere il tuo viso spaventato da tutto l'amore che, per sempre, ti donavo. L'ultimo battito del mio cuore fu per il tuo."


Ho usato l'arte altrui per me. Si può? Non si può? Non lo so. Io solo, voglio rendere omaggio.
(La scultura è diversa, ovviamente. Ed è splendida).

venerdì 28 agosto 2009

Teorema delle quindici

La normalità è condizione necessaria ma non sufficiente.

giovedì 27 agosto 2009

Va bene, ma adesso calmati

Cena. Alla radio, The Who.
Zitti zitti, dici tu, tutte le volte; poi guardi verso l'alto, sospiri. Poi generalmente citi qualcuno o qualche evento o aneddoti vari. Mai gli stessi. E io, tutte le volte, ti guardo ammirata e mi godo il tuo racconto sapendo già che tanto poi non mi ricorderò che qualche passaggio. E il bassista, che è... Che è... (torni a chiedermi)... CHE E'...
Tutte le volte lo fai. Tutte le volte io sparo il primo nome che mi viene in mente, che è sempre Pete Townshend. Tu chiudi gli occhi, triste come se ti avessero detto che è morto tuo nonno, e scuoti il capo. E io, tutte le volte, resto imbambolata a guardarti come quando a dodici anni a scuola mi interrogavano e io, che intanto stavo pensando a CandyCandy, mi sentivo come se mi stessero svegliando con una tromba dritta nelle orecchie. Due occhi così, sguardo fisso e inebetito al quale segue leggero piegamento del capo, aria da cerbiatto in cerca di perdono.
Tu, come al solito, scuoti la testa in segno di rassegnazione.
Adesso basta! Non è possibile che tutte le volte io mi debba sentire così. Quindi ho agito.
E ho fatto questo.



Studio amore, promesso.

domenica 23 agosto 2009

Non sembra neanche vero

Correva l'anno 2002 quando, in una nota libreria per l'infanzia della mia città, mi innamorai follemente e per sempre di una maialina. Sto parlando di Olivia, di anni cinque, esplosione di allegria e ironia, genio nel suo essere cinquenne, nata dalla matita del disegnatore e pittore americano Ian Falconer. Chi la conosce capisce il perché di quel colpo di fulmine. Chi non la conosce mi ringrazierà, forse, per avergliela presentata.
Quel giorno portai a casa Olivia ed ero felice come una bambina.
Da allora ne ho acquistati altri due e sto per regalarmi il quarto. E ogni volta sono felice come una bambina.

Pochi giorni fa passeggiavo con una cara amica per le vie della città.
Vieni, le ho detto, ti faccio vedere la libreria dove vado sempre, così ti mostro anche Olivia. La libreria però era chiusa per ferie. Sbirciando attraverso la prima vetrina abbiamo potuto vedere che le proprietarie hanno fatto disegnare, in una porta interna al negozio, una delle tavole del primo libro di Olivia. Io amo quella maialina. E anche loro amano quella maialina.
Seconda vetrina.
Guarda, le ho detto, hanno messo il primo libro di Olivia in vetrina! Ci credo, è fantastica. Poi ho buttato l'occhio distrattamente per vedere cos'altro c'era esposto. Di fianco a Olivia c'erano ben sistemate tre copie aperte di un altro libricino. Il mio. I L M I O? Ma quello è il mio libro. Ma quello è "A Sara piace chiudere gli occhi". Saraaa Saraaaa Saraaaa.
Sara era lì a fare la bella di fianco a Olivia. Ed era stata lì esposta per tutto il tempo di chiusura della libreria. In bella mostra. Di fianco a Olivia.
Solo dopo inquantificabili minuti di catatonia sono riuscita a muovermi, a respirare e a chiudere la bocca dalla quale pendeva una inguardabile bava.

No, la mia amica non mi ha dovuto schiaffeggiare. Però ha dovuto trattenermi dal baciare la vetrina e dal mettere in atto tutta una serie di reazioni che lascio alla fantasia di chi mi legge e/o mi conosce.
Allora, poi, con contegno, mi sono limitata a fotografare la vetrina.



domenica 16 agosto 2009

Ferragosto in spiaggia

"Amore cucciolo", ho detto, "oggi è una giornata un po' particolare, non ti allontanare troppo senza dirmelo, ok?"
"Sì, ma perchè?"
"E' ferragosto, succede che alcuni tirano i gavettoni, ci si può fare male, e poi girano strane persone, c'è molta confusione... insomma, avvisami se ti sposti, ok?"
Va bene, ha detto lui.
Poi siamo andati a fare il bagno con discreto divertimento da parte mia, devo dire, che ho potuto sfogare un cicchettino di rabbia repressa con lanci di figlio (anche chiamati tuffi) e con spruzzate d'acqua marina in faccia a manate continue e insistenti con inseguimento. Innocui giochi da spiaggia, insomma.
Ad un certo punto mio figlio mi si è avvicinato con uno sguardo da complotto e mi ha sussurrato: "Mamma..." e io "eeeh" e lui " hai presente che mi hai detto che oggi ci sono persone strane in giro?".
Io mi sono guardata attorno, a cercare di chi parlasse, per poi dire curiosa: "Sì, ne hai vista una? Dov'è?"
E lui guardandomi serio in faccia ha sussurrato: "Sei tu".

Lo so, lo so, non infierite.

giovedì 13 agosto 2009

Estate italiana 2009



Ci sono cose che mi fanno rabbia, poi ci sono cose che mi fanno tristezza, e poi ci sono cose che tutt'e due.
Credo di essere diversamente italiana.

Neologismi

Ho avuto una notizia che mi ha reso molto triste: "infragilire" è una parola che esiste già, è già usata e non è neanche considerata un neologismo.
Proprio adesso che ero convinta che sarei stata inserita in pompa magna nel Devoto Oli per questo nuovo meraviglioso termine da me inventato (sì, credevo...), e che avevo scoperto che anche i franscesi ce l'hanno, niente. Niente. Sono delusa e amareggiata.

E allora ho inventato un nuovo termine, proprio per l'occasione. Signori e signori.... papapapaaaaaaa:

Il MENESBATTISMO.
Cià

mercoledì 12 agosto 2009

Sai di buono

Ho come l'impressione che le anime buone profumino. E le case delle anime buone profumino, anche. Ma il profumo di cui parlo non è quello artificiale. C'è un profumo di buono, c'è un profumo di bello, di bene. Non so in che altro modo dirlo. Ed è tutto il giorno, oggi, che penso ai profumi. A me gli odori mi si attaccano addosso. Gli odori, i profumi delle persone, delle case, di certe situazioni, io me li porto dentro. Io annuso l'aria, come l'animale che prende informazioni. E lo faccio ormai in modo consapevole; ho imparato a fidarmi degli odori. Raramente mi sbaglio.

Ci sono anime caramelle, ci sono amine salate, anime speziate e anime piccanti; ci sono anime malate e anime sole. Ci sono anime spaventate e anime depresse. Ci sono le anime bambine con gli occhi grandi sul mondo; ci sono anime che hanno fatto del dolore una corazza. Ci sono quelle che cercano prede dietro i cespugli e anime che vivono braccate. Ci sono anime deluse, anime aride. E ci sono anime ferite.
E poi ci sono le anime colorate che sanno di giorni allegri a ballare il valzer con un marito ormai andato, quelle con la fascia turchina a tener su una testa cotonata di capelli bianchi e occhi lucenti.

E tutte queste scie, tutti questi profumi di vita si mescolano nelle case, nelle scuole, nelle spiagge. Si mescolano odori al bar, sull'autobus o per le strade di una distratta giornata di riti ordinari.
Si mescolano, i profumi, sembrano confusi gli uni negli atri.
E allora io mi fermo, li riconosco, li distinguo e aspetto. A volte ci sono profumi che hanno storie che si vogliono raccontare.
E io mi limito ad ascoltare, con il mio naso.

martedì 11 agosto 2009

La fragilità emotiva

Sto leggendo un libro molto triste. Io non devo leggere libri tristi perchè sono emotivamente fragile. E i libri tristi mi infragilano. 'Spetta: infragileno. No, no. Infrangilentano. Mmh, no. Infragiliscono. Neanche.
Infra...
Infradito.
Infatti, perchè le infradito della mia vicina di ombrellone sono più belle delle mie, uffa.

(Il libro in questione è Stabat Mater di Tiziano Scarpa, quello che ha vinto il premio Strega e che c'è Antonio Scurati che non se la può prendere e sono ancora lì che litigano come matti. Penso che leggerò anche il suo, a questo punto, infragilendomi anche con lui).

Per i più pignoletti:

Infragilendomi
Voce del verbo infragilire (passivo: essere infragiliti): io infragilo, tu infragili, egli infragila...
C'è anche la variante tempo futuro, bellissima: Io infragilirò.

Significato: rendere fragile qualcuno o qualcosa

Esempi:
Forma attiva: questa mattina ho infragilito le palle a mio marito in tanti modi diversi.

Forma passiva: questa mattina, dopo aver infragilito in molti modi le palle a mio marito, le mie sono state infragilite dai bambini, per la proprietà della reciprocità.

Proprietà della reciprocità: non far mai mancare nulla ai componenti della tua famiglia.

lunedì 10 agosto 2009

In coda

Quando ci sono i lavori in corso e sei in macchina, in coda, a volte succedono le cose più strane. Quel giorno avevo davanti un camion, dietro un’auto con due tizi sulla cinquantina. Molto seri. Lei parlava, parlava, parlava. E lui zitto. Ma la cosa strana (potevo farmi i fatti loro senza essere vista, da vera merda) era che lei parlava senza gesticolare minimamente. Mai. Non si è mai voltata verso di lui. E lui neanche. Dritti. Seri. Immobili. “E’ una giornalista” ho pensato, “sta dettando un pezzo al registratore”. Immobili. E lei parlava parlava parlava. Immobile. Muoveva solo le labbra. “E’ al telefono e io non vedo l’auricolare. Dai, non è possibile un dialogo del genere” E lui con le mani sul volante, fermo, serio, zitto. Almeno dieci minuti così.
Poi è passato sulla sinistra uno in moto quasi strisciandoli. Il tizio si è affacciato dal finestrino e gli ha fatto il gesto col braccio. “Oh, l’ha interrotta. Vedrai che adesso ha smesso di frantumargli le palle, a questo pover’uomo”. E infatti lei zitta. Tutti e due zitti e seri, adesso.
Poi lei si è messa il rosario al collo.

domenica 9 agosto 2009

Il lato del letto

Sto pensando a questa roba qua: c'è un momento, nella vita di ogni coppia, in cui si decide in che parte del letto stare. Forse è la prima volta che si entra nella casa in cui si abiterà, in affitto o propria, o già viene automatico dalle prime volte che si dorme insieme (dopo aver fatto l'amore, chiaro).
Però è così. C'è un momento in cui si decide. I motivi sono diversi, può essere che decide lei, perchè lei decide tutto e deciderà la cucina, il colore delle tende, la disposizione dei mobili della camera dei bambini, due, un maschio e una femmina; può essere che venga per caso. Cioè ci si butta lì per provare il letto e il gioco è fatto.

Io mi ricordo bene come è andata. Siamo entrati nella camera e io, rotolando sopra al letto, ho scelto da subito il lato destro. Però era vicino alla porta, in quell'appartamento in affitto di due stanze e un bagno. E allora lui ha detto No, ci dormo io qua, che se entra qualcuno ti difendo (certo, ho pensato, ammazza prima te, poi fa di me ciò che vuole. Ma tanto è stato carino il gesto che Ok tesoro, ho detto, io sinistra e tu destra.)
Da allora abbiamo cambiato diverse case ma io ho sempre dormito sul lato sinistro. E anche quando capita che andiamo in vacanza, o siamo ospiti da amici, io dormo a sinistra, lui a destra. E sarà così per sempre.

Ora mi viene un desiderio folle: conoscere una coppia che si scambia così, quotidianamente, a caso, il posto nel letto.
Per me non c'è.

Dialogo

Sto leggendo un libro, un bel libro di cinquecento pagine circa. Sono verso la fine e sono pure un po' triste: so che chiusa l'ultima pagina mi sentirò sola, e che per un pezzetto non riuscirò a prenderne in mano un altro, quasi per una sorta di strana fedeltà.
Anche mio figlio di otto anni sta leggendo un libro, anche il suo conta circa cinquecento pagine.

Dialogo:

Io (sospiro): Che bel libro.
Lui: Anche il mio.
Io: Non ti dispiace che finisca?
Lui (spallucce): No. Tanto poi lo rileggo.

Già, da piccoli succede proprio così.

martedì 4 agosto 2009

Dirlo con una caffettiera



Giornata uggiosa roba da stirare pulire casa
caldo pioggerellina mestruazioni.
Non aggiungo altro.