I sondaggi continuano a dire che il trenta per cento dei votanti danno la loro preferenza a lui, che il pdl è il partito dominante. Lasciamo perdere per adesso che se ha la fiducia è perché compra. Io continuo a pensare a quel trenta per cento. Nonostante tutto. Sono tanti, sono tantissimi, anche se comunque significa che i due terzi non lo vota (o lo tiene alleato come "boccone amaro"). Ma dove sono questi qui? Il trenta per cento vuol dire che se io entro in una carrozza del treno e chiedo Chi vota il pdl?, ecco, se siamo circa cento, trenta persone a occhio e croce dovrebbero, se non si vergognano, dire Io. Sono tantissimi.
Il fatto è che è un po' di tempo che mi chiedo perché continuino a votarlo, a credere in lui. E a crederci con tanta passione, trasporto, aggressività e rabbia, talvolta. Salvo poi, intervistati, dimostrare in realtà molta ignoranza rispetto alle cose realmente fatte in politica in questi due/tre anni di legislatura. Ma non è il punto, non sono qui a dire che sono ignoranti.
Ieri, in biblioteca (dovrebbero fare più attenzione a tutta questa libertà che abbiamo di prendere libri in prestito, studiare, mettere in relazione) avevo contemporaneamente sotto mano testi di antropologia e di letteratura per l'infanzia. Leggi qua, leggi là, ad un certo punto mi capita sott'occhio questo pezzo qui:
"
Sarà possibile, nell'illusione della finzione, identificarci con più eroi, vivere più storie, ripetere l'esistenza in varie forme e uscirne tutti interi. [...] la fiaba assegna soprattutto agli ultimi e ai diseredati il ruolo di protagonisti desideranti, ad essi auspicano, nell'identificazione narrativa e grazie al meraviglioso, di poter ribaltare il proprio destino, l'identificazione può realizzarsi a pieno consentendo un cammino accanto all'eroe, segnato da incredibili sforzi che, quasi sempre, saranno ricompensati"
(Milena Bernardi, Infanzia e fiaba, Bonomi University Press,Bologna 2007)
Ah, ho pensato.
Poi ho pensato che prima della tv, il popolo si tramandava oralmente leggende e racconti nei quali consciamente e inconsciamente ci si dava spazio per l'Altrove, nelle quali si dava spazio per le zone censurate, nel quale si "
credere senza credere veramente", veicolo di fuga, di evasione, di visionarietà.
Poi ho pensato che, contemporaneamente all'epoca della tv, che pian piano ha sostituito il racconto orale davanti al focolare, è successo che la società occidentale è diventata ricca e contemporaneamente ha conosciuto un vuoto di valori e una crisi esistenziale di cui si riempiono le pagine nelle analisi della società post contemporanea.
Poi ho pensato che la tv e la fiction si sono impossessate del nostro quotidiano, in un movimento di apparente appagamento di quel nostro bisogno ancestrale del meraviglioso, di identificazione senza pericoli, di "
poterne uscire tutti interi". Perché abbiamo comunque sempre bisogno di storie.
E poi ho messo in relazione.
Nel vuoto di storie, nel vuoto di valori di oggi, nel buio di esistenze vuote riempite senza appagamento dal consumo, la fiction fa breccia, trova spazio nel terrore dell'essere soli e indifesi di fronte all'angoscia del vuoto interiore.
La fiction più grande di tutte, ora al potere, ha trovato il suo eroe; e se io però mi identifico con quell'eroe facendo entrare l'Altrove pericolosamente nel mio reale (secondo movimento: al grande fratello può andare chiunque, e nell'isola anche, per dire), allora vivo nel reale dentro l'illusione di poter "
ribaltare il mio destino", e succede che "
l'identificazione può realizzarsi a pieno consentendo un cammino accanto all'eroe, segnato da incredibili sforzi che, quasi sempre, saranno ricompensati". E infatti, guarda caso, l'eroe deve sempre sconfiggere dei grandissimi nemici che gli si parano davanti. La sua fiction compensa e riempie un vuoto a chi segue le sue peripezie.
Poi ho pensato che quel trenta per cento non può essere composto tutto da matti, o tutto da complici, o da chi ne trae interessi economici, sebbene questi ci siano, dentro quel trenta per cento. E gli altri?
Una parte, forse, è sotto incantesimo. E se è così come fa, adesso, a non credere più nel suo eroe, se con lui si è identificato? Come fa, adesso, a uscire da quell'incantesimo senza bruciare vivo, dentro? Come fa senza crollare? Se rinuncia, se vede, se esce dall'incantesimo, crolla una parte fondamentale della propria identità, crolla l'Io, crolla tutto. Ed è un casino profondo, dentro. Ecco la rabbia quando lo difendono.
In realtà, nel profondo, è paura.
***
Ecco, faccio studi incrociati e metto in relazione. Magari non è così, magari non ne so abbastanza e sto facendo un pastrocchio, nel caso mi scuso con chi ne sa di più e meglio, in fondo sono agli inizi di questo percorso di ricerca che è difficile e tocca temi molto complessi che non voglio banalizzare o peggio non capire bene. Condivido solo un'intuizione. Ancora acerba. E poi magari c'è chi l'ha detto meglio prima di me.