domenica 23 dicembre 2012

un regalo

Oggi sono andata a trovare la nonna, è nel letto e non si può più alzare. Non la vedo da un mesetto circa, però l'ho anticipata, per non soffrire troppo; se non mi riconosceva, intendo. Le ho detto: ciao nonna, sono la Lia. E lei mi ha guardata per un po', e anche io la guardavo, e le sorridevo, e avevo una paura matta che non sapesse più chi ero, e intanto le stringevo la mano. E anche lei me la stringeva, mi guardava in un modo che non vi so dire.
E poi, come stupita, mi ha detto: ciao Lia, sei diventata una donna.
E io mi sarei messa a piangere.

lunedì 29 ottobre 2012

amor di sintesi

1.
Io: "Chi ha voglia di raccontare una storia?"
Bambino 1: "Io io"
Io: "Vai!"
Bambino 1: "C'erano una volta tre porcellini che andavano nel bosco e poi è arrivato il lupo e li ha mangiati. Fine.
"Bambino 2: "Ma non è così! E' troppo corta!"
Bambino 1: "Ah, è vero. C'era una volta un porcellino, di legno"
Bambino 2: "Eh sì, che se raccontava le bugie gli veniva il naso lungo. Tu ti inventi le storie."

2.
Io: "Chi ha voglia di raccontare una storia?
Bambino 3: "Io io"
Io: "Vai!"
Bambino 3: "C'era una volta un pinocchietto che andava nel bosco e dopo arrivava il lupo e pinocchietto scappava, scappava nella foresta, e poi il lupo andava dietro gli alberi, e guardava, e poi pinocchietto scappava, poi il lupo l'ha preso e l'ha mangiato.
"Bambino 1: "Ma questa è la storia di cappuccetto, non di Pinocchietto!"
Bambino 3: "Ah sì è vero".
Io: "Chi ha voglia di raccontare la storia di cappuccetto rosso?"
Bambino 1: "Io io"
Io: "Vai"
Bambino 1: "C'era una volta cappuccetto rosso. Il lupo è andato a casa della nonna e se l'è mangiata, poi ha mangiato anche cappuccetto. Fine".





mercoledì 24 ottobre 2012

succede che

Succede che sto scrivendo una cosa su Socrate e quelle che furono, allora, le sue resistenze alla parola scritta; succede che ogni tanto, mentre sto scrivendo di questo, appare nel centro del testo, non richiesta, una cartella piccola, accompagnata da uno di quei rumori tipo SBENGH! che fa il computer quando c'è qualcosa che non va, quei rumori che ti fanno venire la goccina fredda lungo la schiena; una cartella scritta in inglese, con simbolino dell'attenzione, giallo, triangolare, con un punto esclamativo al centro, di quelle cartelle che tu pensi: adesso sono nella merda, e pure gravemente asina di comuter quindi incapace di risolvere alcunché; di quelle cartelle che ti volti nella stanza a cercare chiunque ti possa dare una mano, ma nella stanza non c'è nessuno e la goccina adesso è anche sulla fronte da tutti e due i lati e tu sembri un cartone animato con i connotati tipici del panico silenzioso. Di quelle cartelle che poi tu vai con la freccia sulla x rossa e chiudi la finestrella (perché tanto la finestrella maledetta non ti fa fare null'altro) e si chiude TUTTO IL FILE, non sai dove cazzo sia finito e le ultime sedici righe che hai digitato spariscono nel nulla.

Succede che questo scherzetto me lo fa diverse volte. Io inizio a pensare a cosa stia succedendo, mentre scrivo di Socrate che aveva delle grosse resistenze alla scrittura, e mi chiedo cosa penserebbe di me Socrate se fosse vivo oggi, cosa penserebbe del fatto che se non mi si salvano le sedici righe scritte, io non mi ricordo una cippa di quello che avevo scritto e devo ricominciare da capo. Succede che cerco di capire cosa succeda, e cerco una spiegazione. Sarà un file troppo lungo? Sì, lo so che è un'intuizione della specie non ci capisci davvero una minghia, però vado avanti con la forza della disperazione e inizio a dividere il testo in più file, con complessità crescente del pezzo che sto costruendo, già che sono disordinata e un po' divergente, come pensiero, mi ci mancava solo di dividere pure il discorso in sottoparti.
Succede che no, non c'entra la lunghezza (ma va? burlatevi pure liberamente di me, anche al bar), perché questo, chiamiamolo, scherzetto, me lo fa anche quando ho appena scritto solo sei righe nella parte 4 del capitolo 1, righe che OVVIAMENTE vanno perse e io devo riscriverle tutte con enorme sforzo del mio cervello ormai in avaria.
Allora no, la lunghezza non c'entra.

Succede che sto per andare ai matti, inizio a pensare che il mio pc abbia un virussone di quelli brutti, faccio la scansione di tutto il pc. Niente, il pc è pulito come il culo di un bambino appena cambiato e spalmato di cremina profumata, e però ancora la finestrella inglese accompagnata da quel rumorino da fine del mondo terracqueo continua, e io inizio ad averne un po' le palle piene.

Poi succede questa cosa: mi sembra di vedere che la finestrella compare quando io scrivo "Socrate" (oibò, penso. ma và. maddai); ma non quando lo scrivo così, corretto. No, compare quando lo scrivo sbagliandomi e mettendo anche la "o" maiuscola (sì, ho le manine fonfe e lo shift rimane schiacciato più a lungo, va bene? Burlatevi anche di questo). Sicché, dopo l'ennesima finestrella del diavolo, faccio una prova: apro un file, scrivo parole a cazzo (tipo queste: ojdnvpewndlkcnpwiejrnvòkjwaNòPVJwaio), poi salvo, poi scrivo SOcrate e... BAM! finestrella del diavolo corredata di rumorino e minacce in inglese.

AAAH-AH! Porco! Ti ho beccato!
Dopo essermi sentita il supereroe con QI sedicimilioni e mejo de scerlokkolms, mi sorge, spontanea, una domanda:  perché?
Ebbene, io che sto scrivendo un testo che riguarda Socrate e le sue resistenze alla nascita della parola scritta in un tempo in cui la trasmissione era di tipo orale, io che cerco di fare dei confronti e dei paralleli con l'era digitale e tutte le resistenze e le paure e le incertezze, io vengo "boicottata" da un "Sistema Operativo-crate".
SO-crate.
Ecco cosa succede.
Cose da non credere.
Oppure no, ho solo molta fantasia nel cercare risposte.
E no, non ho fatto la fatica di tradurre e capire cosa c'è scritto nella finestrella. In fondo io ho quel problema di presunzione per cui non leggo mai nemmeno le istruzioni di niente, figuriamoci le finestrelle terrorizzanti. Mi limito ad odiarle e a farmi spaventare a morte. E poi a indagare nei modi meno funzionali. Se c'è qualche pignolo in sala, posso farmi aiutare e postare la foto della finestrella, tanto adesso la comando io e la faccio comparire quando mi va).

lunedì 24 settembre 2012

questo post è molto lungo

Vado a passeggiare in spiaggia, la giornata è bellissima. Arrivo al pontile e ritorno, a passo veloce.
E penso.
Devo stirare una montagna di roba inaffrontabile. Mi viene da pensare a chi si droga. Vorrei prendere delle droghe per affrontare la mucchia. Mica per la vita, no. Macché. La vita è una cazzata a confronto della mucchia. La mucchia fa selezione naturale. La mucchia uccide i deboli.

L'altro giorno a scuola una bambina trascinava una bambola di stoffa per i piedi, a pancia in su, la trascinava in giro per l'aula. Le ho chiesto se stava nascondendo le prove. 

In spiaggia passano due mie amiche che mi invitano ad andare a camminare con loro e un gruppo di gente che si trova alle nove di sera e cammina per il parco. E' un'idea fantastica, penso. Mi vengono a prendere alle otto e mezza martedì sera, sono felicissima. Dieci chilometri. Ce la farò? Ho deciso di sì.

Se non stiro poi lui mi dice che ha finito le mutande pulite. Gli dico: guarda nella mucchia da stirare. Lui va nello sgabuzzo e poi torna e poi mi dice che non ci sono. Io vado, domo la mucchia, riconosce la mia voce e la mia autorità, si calma, sposto due cose, le trovo. Non le avevo viste, mi dice lui.
Drogarsi forte drogarsi tanto.

Non vogliamo più andare da soli a parlare con lei, vogliamo dei testimoni. Ad avere a che fare con i confusi si diventa confusi. Uno sano dice: sbaglierò io. Invece quello confuso, senza qualche venerdì, non lo dice mica mai, "sbaglierò io". E' così che a quelli sani piano piano, a forza di dire "sbaglierò io", pensano di essere confusi loro, gli partono tutti i giorni della settimana, se non si sta attenti.

A scuola una bambina di quattro anni giocava nell'angolo cucina con uno suo compagno di tre anni. Sono grandi amici, quei due. Ad un certo punto il piccolo inizia a piangere forte, molto forte. La mia collega si avvicina. Lui piange così forte che ci vuole un po' per calmarlo. Intanto l'amica sua è seduta sulla seggiolina, è seduta comoda, direi che è proprio sbragata con una gamba accavallata sull'altra, un braccio sulla spalliera della sedia mentre con la mano libera sta cercando una caccola nel naso, è molto occupata e concentrata in questa operazione, tanto da strabuzzare gli occhi. Ogni tanto si ferma e guarda il compagno che piange come un disperato ma non si scompone, la caccola è ancora lì, c'è da fare. Il suo amico spiega alla mia collega che lei lo ha appena morsicato. Lei non ha tempo di discutere di questa cosa, deve cercarsi la caccola.

e se non stirassi per niente?

Ieri mattina ero in camera di mio figlio grande a rifare il letto, mi sento chiamare dalla strada, è un signore che chiede di quelli del negozio che abitano da queste parti. Siamo noi, gli dico. Le mando mio marito, gli dico. Vado in corridoio e mio marito è in mutande, si è alzato da poco, mi viene una fretta di dirgli che lo vogliono per il negozio,  presto, fai presto, gli dico, vieni, ti lancio i componenti. Gli ho lanciato una maglietta nera che ho trovato nella mucchia dei panni in fondo al letto. Il potere contro le mucchie è con me.

Mentre la mia collega consolava il piccolo morsicato dalla bambina, ancora comoda sulla sua sedia con il braccio sulla spalliera, è passata la bambina che trascinava la salma-bambola per i piedi.
Delle volte mi sembra di lavorare in un bar di periferia.

Bisogna imparare a mantenere fermo l'equilibrio quando si parla con i confusi. I confusi non mettono i soggetti quando parlano, cosicché tu non sai mai di cosa o di chi si stia parlando, allora fai delle domande per capire bene, molte domande, chi? cosa? è importante capire bene. Alla fine quello svalvolato sembri te.

Se non ce la faccio a fare dieci chilometri al massimo al chilometro cinque faccio la fine della bambola della bambina a scuola, mi trascineranno per i piedi. "Lasciatemi qui, non voglio rallentarvi. Chiamatemi Anita!"
"Non c'è nessuna Anita, qui".
"Anita Garibaldi, branco di stolti!".

Ho il potere che doma le mucchie, vuoi che mi spaventino dieci chilometri? Ma per chi mi avete preso, dico io.

L'altro giorno a scuola eravamo in giardino. Ero seduta vicino ad una bambina che ha appena iniziato a frequentare. Ha tre anni. Guardo in terra e prendo un ago di pino secco. "Sai come si chiama questo" le dico. "No", mi dice lei. "Si chiama ago di pino. Ago perché punge come un ago (e mi pungo il dorso della mano) e di pino perché è del pino, che è questo albero qui (e alziamo la testa a guardare il pino altissimo sopra di noi).
"E come fa adesso l'ago di pino a ritornare sull'albero?". Mi dice lei.
I bambini hanno questa cosa qui, che ti mettono in un cul de sac con due parole.
Per le mucchie sono pronta, ho i poteri; per i bambini non sempre.

 Sono arrivata al pontile e sono tornata indietro. Mentre andavo facevo dei pensieri, al ritorno ho fatto gli stessi pensieri al contrario, mi sembrava come di riavvolgere il nastro.

Domani stiro. E cammino la sera, almeno mezz'ora. E inizio a finire le cose che devo finire.

Non so come finire questo post, tanto per cominciare.
Il mio professore delle superiori diceva che lui era bravo a scrivere i finali, allora quando qualche suo amico scrittore non sapeva come finire un brano, un romanzo, un saggio, lo chiamava e lui scriveva il finale. Diceva che ci sono quelli bravi a scrivere gli inizi e quelli bravi a scrivere i finali. Lui sapeva scrivere i finali. Se avessi il suo numero di telefono lo chiamerei per fargli scrivere il finale di questo post.
No, non è vero, i miei erano tempi che non si chiamava al telefono un prof per chiedergli i finali delle cose.

Quindi niente finale.

venerdì 21 settembre 2012

è sempre un onore

"Insomma, io avevo sette anni e le codine ed ero piena di immaginazione e ogni tanto andavo da Beppe che stava sempre seduto sulla panchina, andavo da lui perché sapeva raccontare le storie e gli dicevo: Beppe, mi racconti la storia di quella volta del marziano?, e lui mi diceva: Non è una storia, è la Verità; e allora io gli dicevo: Va bene Beppe, mi racconti la storia della Verità di quella volta del marziano?
Lo facevamo sempre, di dire così, proprio così, tutte le volte, in fila.
E poi lui iniziava a raccontarmi."
(continua)

Questa storia si chiama "Beppe", l'ho scritta io, se volete leggerla tutta la trovate in "L'ennesimo libro della fantascienza" a cura del Many e dei Barabbisti, che è un libro non di carta, è un ebook collettivo e lo potete scaricare gratuitamente andando qui , ci trovate tanti racconti che secondo me sono bellissimi, non ho ancora avuto il tempo di leggerli ma lo so che sono belli, in un futuro prossimo li leggerò tutti anche se, in questo momento della mia vita, trovare il tempo per farlo mi sembra un racconto di fantascienza. E infatti lo troverò.

mercoledì 5 settembre 2012

il condominio

Bonciorno a tutti, cari condòmini, care condòmine,

siame qvi riunite per una motivazione mott'urgenti, per une cosa indecenti che sta capitandi annostr condominie, una cosa che ci togli le notte e li ciorni, i respiri e la tranquillitate tutte.
E qvesta cose di cui ora vi parle, per conto della ministratio, lo sapete megli di me, qvesta cose terribbilissime che ci va capitante da mesi, qvesta cose che non ho capacitazione di come sie succedute... forse che è sempre statte così ma ora solamente ci accorgiamo? Forse che prime eravamo di pensiero che non era così crave e tappavamo naso e orecchi? Forse che intimamente adesso abbiamo perduto la pazienza? E' colma la misura? Sarà, ma ora abbisognamo urcentemente di risoluzzione. Eppure io, nella solituta della mia stanz, nei notti che zono statte sveglio, sempra a cause di qvesta problemazione, non mi sono capacitato di trovare soluzziona alcuna, nonostante la spremitura di meningie.

Ora:
Qveste problemme cravissime sapete che essere dovuto a: le troppe cicale di ciorne e i tropperrimi crilli di notti, appostatisis in ogni loco di condominio et non solo nello albero come di consuetude, che assediano con le loro rumore continuo et fastidiosissimo ogni ancolo di condominio, ogni orecchie di condòmino et condòmina, grante et piccole, in ogni momento, e anco giù per la via, e non permettici di fare al-cun-ché et produce mali di testa et umore malevolo alli signori condòmini et alle signore condòmine, che per esso stesso motivo di nervoso si vanno litigando da mesi tra di loro, li mariti con le mogliere, li bambini co' li bambini, li grandi co' li bambini, e li bambini picchieno li cani e tireno le code alli gatti.

La cicaleccia e la grillìa continua dell'insette maledette non produce che fastidie, non è affatto, cari condòmini, un canto, anzi, è una cose che non si puote ascoltare, io diche che qveste insette maledette deveno ezzere malate de cvalcheduna malattia graverrima et sconosciuta, non arrecano cuella sollevazzione dell'anima che danno solitamente le insette estive nelli prati, ma anzi! qveste insette malate producheno solo chiacchiericcie stridulantes, inzenzate, continue et inutilissime! I-NU-TI-LI-ZZI-ME.

Io, nelle solitude delle mia stanze, avrebbi anch pensatto di sterminare tutt-tti, tutt-tti le insette causa di cicale-cci-o terrifica-nt-e et i-nu-til-e, e che, Primo: tutt' noi ce ne andamme da qvi per un tempo ics e che, secumdariamente, bombardiammo con un veleno le insette maledette tutte (scussate la violenza) e poi facciamme ritorne allo nostro condominio. E dopodiché, terziariamente, ci mettiamo famillia di insette non malati ma sani che alliete le nostre ciorni e le nostri notti con canti belli et delicati, cosa che sarebba utile per cuori et menti et sollazzo per lo animo, anche delli cani et delli gatti che trarrebbero, sanza dubitazione alcuna, non poco sollievo.

Ma poi ha pensate io che forze anche ze zembre che è una buona idea a un prime acchitto, forze non è con violenze et barbarie che si pote risolvere problema di infestazzione insette maledetti cicalanti inutilizzimi in condominio nostre.

Sono qvindi ora qvivi di fronti a voi con cuore in mano a chiederv de trovare una soluzziona per qvesto terrificante problemazione che ce affligge tutte cuanti.
Altrimente io procedo con veleno oppure io chiame qvesto condominio Manicomio.

Dite.




venerdì 31 agosto 2012

no lo so non lo so

Caro diario, è un periodo che sono nervosetta.
Oggi correvo sotto la pioggia, sempre nervosetta, non avevo l'ombrello e andavo in giro con il parasole della macchina sopra la testa, quella roba che si mette sul vetro per fare ombra. Avevo degli apuntamenti, poi ho sentito odore di vaniglia, veniva da una finestra, mi son venuti dei pensieri bellissimi. Che l'odore di vaniglia mi potesse svoltare la giornata, mai lo avrei creduto.

Son tornata a casa e non mi ricordavo una cosa della storia del Novecento, allora ho preso in mano "Il secolo breve", lo uso come manuale di storia, ho un'edizione del 1995, bella, con la copertina di cartone grosso, credo fosse la prima edizione italiana, l'avevo studiato per un esame, l'ho aperto, ha le pagine tutte ingiallite. Son diciotto anni fa, a me sembra proprio ieri, le pagine ingiallite m'hanno fatto pensare che atroché ieri, c'è passata mezza vita, in mezzo.
Caro diario, i lettori di ebook sono stupendi, ce ne ho uno e me lo godo tutto, ma le pagine ingiallite, ecco, non so se posso farne a meno.

Poi caro diario ho fatto un pensiero, ho pensato che la mia nonna, che adesso ha novant'anni, mai nel suo quotidiano per la strada le poteva succedere di sentire parlare in russo, e invece per mio figlio, che ne ha undici e vive al mare, è una cosa normalissima.
Ho pensato: mannaggia però, in una vita, quante ne passano.

Caro diario siamo solo a metà giornata. Vorrei spegnere il cervello che sono già stanca, oggi. Vado a comprarmi la vaniglia, piove, mi metto nel letto e mi faccio delle sniffate col naso dentro il sacchettino.

domenica 26 agosto 2012

basta poco

Questa notte ho fatto un sogno, ho sognato delle cose molto strane, ho sognato che le guardavo un po' perplessa, non le capivo bene, non capivo molto che senso avessero, e poi c'era un tipo, nel sogno, come una vocina da dietro, che mi diceva: le vedi strane, quelle cose, solo perché sei una bigotta. Bigotta io? Ma dai, impossibile!
Cosa vorrà mai dirmi questo sogno, ho pensato al risveglio.

Poi siamo andati in un noto parco acquatico.

E allora ho fatto tutto quello che mi diceva di fare il microfonone, insieme ai miei bambini, mi son fatta trascinare, mi dicevano dai mamma dai! ma cosa stai ferma lì ma sei una vecchia, divertitiii!! e allora via! su le mani, urliamo insieme, tutti nella piscina nelle onde, yeeeeh salta salta salta! Uuuuuh! un carnaio indescrivibile, su le mani, le ondone, schizzi dappertutto, tutti a schizzarsi a comando del microfonone che parlava da lassù in alto, manco capivo cosa diceva, via a schizzarsi, fermi a schizzarsi, via a schizzarsi, così, a comando del microfonone, poi sono arrivati i ballerini con le ananas in testa (ma ero lontana, non sono sicura delle ananas, forse erano papaie), mi sembrava di essere dentro quel cartone animato, Madagascar, quando il leone faceva lo spettacolo e tutti sotto a guardare, e allora c'eravamo noi, tutto questo carnaio girato verso quello col microfonone e i ballerini, davanti a me vedevo delle gran schiene con le braccia alzate, e c'erano i miei bambini che ballavano a ritmo e io dietro anche io a ballare con il mio culone (mi sono solo nascosta, ammetto, quando hanno detto che ci riprendevano a tutti, di guardare il puntino rosso sull'orologio, che è una telecamera, io mi sono accucciata giù, cosa fai mamma tirati su, no no, state su voi), e via di schizzi a tutti, i bambini che ridevano come dei matti, la musica alta, i ballerini con le ananas in testa, o le papaie, o i manghi, ero lì, ho ripensato al mio sogno, mi son detta non fare la bigotta.

Oh, niente, mi son divertita.

domenica 19 agosto 2012

ho trovato questo pensiero sotto al divano mentre facevo le pulizie

E poi saltano i convenevoli e la stranezza di quello che siamo fa festa, che è un altro modo di dire che calata la maschera siamo quello che siamo e ne godiamo. Ma sono attimi che poi, quasi subito dopo, tornando a casa, ci viene un colpo, ci piglia lo straniamento, e una paura, ché così sembriamo nudi, e abbiamo paura di essere nudi, non siamo abituati a essere nudi, non ci hanno insegnato a essere a nostro agio, nudi, e allora succedono i casini grossi, rifanno banchetto i convenevoli, rimettiamo le maschere, ci proteggiamo dalla paura, fuggiamo. E perdiamo la possibilità di essere felici, nudi, di fronte a chi amiamo. E rimaniamo a rincorrere sempre quell'attimo che era giù tutto, e eravamo nudi, e eravamo noi.

venerdì 10 agosto 2012

ma mi mu

Son qua che ti penso che penso che mi manchi, che mi mancano le cose che facevamo che ci dicevamo che non ci dicevamo, anche. Son qua che mi manchi e penso che quella volta che era notte, per dirne una, e s'era fatto l'amore e poi mezzi addormentati e io a pancia in su e tu a pancia in giù con mezza pancia su di me e io con il braccio in su abbandonato e gli occhi chiusi e l'arietta fesca dalla finestra anche se era estate, un caldo boia, e a me era venuto così, proprio dal cuore, così di dire "Madonna, la felicità", con gli occhi chiusi, e tu prima silenzio, poi hai detto "Va bene".
Son qua che ti penso quanto mi manchi ed è troppo tempo che non ci sentiamo più, son qua che mi chiedo alla fine perché non ci sentiamo più? Non si dovrebbe mai non sentirsi più, non credo sia legale, penso io.
Son qui che penso che mi manchi e mi chiedo perché ci siamo lasciati, non so se l'ho mai capito bene, io, il perché, ma non credo. Ma mi mu andare vedere fare, e mi hai lasciato. Lì per lì magari deve anche essere sembrata una buona idea, lì per lì, che mi lasciavi, che avevo dei nervosi anche io, cosa credi. Lì per lì. Però adesso mi manchi, mi manca tutto, che "Madonna, la felicità" non l'ho detto più, non m'è venuto neanche da pensarlo più. Adesso che fa di nuovo caldo quando entra l'arietta di notte non penso più "Madonna, la felicità", penso "Madonna se mi manchi". Se comincio a chiedermi perché mi hai lasciato è un casino, chi capisce cosa hai nella testa, delle volte mi viene il nervoso che ti spaccherei la testa ma poi mi dico No va là, sai che schifo tutto quel materiale cerebrale in giro, ore e ore a pulire, e poi la testa non è mica come l'uovo kinder, che lo spacchi e dentro c'è la sopresa, non è mica come il salvadanaio di terra cotta, che lo spacchi e dentro ci sono i soldi, non è mica come il vaso di pandora, che lo apri e dentro ci sono i mali del mondo. No, forse questo esempio non va bene, a pensare a come sto adesso. Insomma, la testa se la spacchi dentro non c'è niente, c'è solo l'interno della testa, non deve essere nemmeno un bel vedere, infatti quando ti dicevo: Che bella testa che hai, e tu mi dicevi: Dove?
Quanto mi manchi però.
Quando ti dicevo che bella testa che hai, mica intendevo dentro, non intendevo neanche fuori, adesso che ci penso, visto che mi hai lasciato, non lo so neanche io cosa intendevo, forse non avevo neanche ragione.
E infatti adesso che son qui che ti penso, e che mi manchi, mi chiedo cos'ho io nella testa, visto che al pensiero di te mi sale un nervoso, ma un nervoso. Ma non la apro, la mia testa, se la aprissi per guardarci dentro, come faccio a guardarci dentro se me la sono aperta? Dove sono gli occhi per guardarci dentro mentre me la sto aprendo? Fisicamente è una cosa difficile da immaginarsi, con gli occhi che penzolano alla ricerca del guardare dentro la testa, anche meccanicamente la trovo difficile da fare. Poi abbiamo appurato prima che dentro non c'è la sorpresa da montare e neanche soldi e. No, i mali del mondo forse sì. Ed è per questo motivo principalmente che rinuncio ad aprirla.

Adesso non so come finire questa cosa che mi sono imamginata di uno che ha le mancanze perché è stato lasciato e non sa perché e ha i nervosi, l'ho scritto mentre mi annoiavo, proprio non so come chiudere, è un guaio questo, quindi faccio così, adesso mi faccio un caffè.

martedì 3 luglio 2012

Quando

Il vestito troppo costoso
un'altra fetta di nutella
la mail pronta e la freccia su Invia
dentro un sogno folle di qualche trasgressione
sopra uno scoglio altissimo sul mare
davanti a una bocca che ti dice baciami
una carezza
e il non detto che vuole dirsi
fermo, nel letto, alzarsi ma ancora aspetta.

Quando non se ne può fare a meno
ma io ho pensato
no.

giovedì 21 giugno 2012

ore 18, quasi 19

I miei nonni, mi ricordo, che han vissuto la guerra, avevano molto questa preoccupazione qui, che la mattina dicevano: cosa mangiamo a pranzo, e il pomeriggio dicevano: cosa mangiamo a cena. Tutti i giorni che l'Iddio manda su qvesta tera.
Io sono diversa dai miei nonni, infatti a differenza dei miei nonni, dopo pranzo dico: cosa mangiamo a merenda.

Allora, in questi giorni di infermità (mi son rotta il ditino del piedino, il mignolino che non si chiama mignolino, si chiama quinto dito, ma nessuno lo chiama così, fuori subito chi lo chiama così. Bugiardo, non è vero e lo sai, magari lo chiami così nell'intimità, se non lo vuoi ammettere lo capisco anche). Dove ero? Ah sì, in questo giorni di infermità sono qui davanti al pc nella noia e nell'impossibilità di fare qualsiasi cosa che non sia mangiare, dormire e navigare, e allora niente.
Cosa volevo dire?
Ah sì, ecco.

La credenza è vuota
la mia zucca è vuota
la mia pancia anche, è vuota.
Prendo i cereali secchi e insipidi e li mangio.
La credenza resta vuota
la mia pancia così così
la testa come prima, vuota.
Adesso è vuota anche la scatola dei cereali.


(ho bisogno di aiuto? Ditemi voi)

giovedì 7 giugno 2012

Che cos'è?

A scuola abbiamo un orticello, il nostro orticello didattico. E' un orticello sei per sei dove siamo riusciti a far crescere il grano, le fragole, i piselli, le zucchine, i pomodori (quelli tondi e quelli lunghi), diverse piantine aromatiche, primule, viole, un girasole, una calla e ci sono pure due alberelli da frutto, un pero e un albicocco.
Siamo molto fieri del nostro orticello.

Si dà il caso che i due alberelli siano proprio piccini e così ho chiesto a un nonnino volontario se nei mesi di Luglio e Agosto può venire ad annaffiare l'orticello. Non che mi interessassero le varie verdure, ma è per gli alberelli: siamo in riva al mare, il terreno è sabbioso e molto salato, quindi mi hanno detto che vanno irrigati spesso altrimenti muoiono.
Però, in cambio del favore, ovviamente il nonnino potrà raccolgiere ciò che vorrà di tutte le nostre meravigliose produzioni.

E così alcuni giorni fa è venuto il nonnino a fare la perlustrazione. Io avevo un po' di ansia da prestazione rispetto a questo evento: un nonnino che guarda il tuo orticello è come un anziano che guarda i lavori in corso. Come fai a lavorare sereno, a mettere su i mattoni, con un anziano che ti guarda da dietro? Eh, insomma.
Comunque è venuto una mattina che io non c'ero. Mi hanno riferito che ha guardato l'orticello, l'ha guardato da vicino, poi da lontano, poi di nuovo da vicino, e poi ha indicato dentro e ha pronunciato le seguenti parole:

"Che cos'è?"


Va bene, OCCHEI, è un po' selvaggio, nel senso che solo noi e i bambini troviamo le zucchine e i pomodori in mezzo alla boscaglia di gramigna, i bambini sanno benissimo dove sono, vedono, contano, misurano quanto crescono.

E va bene, dai, due bambini hanno raccolto le albicocche (tutte e quattro quelle che aveva faticosamente fatto l'alberillo) un po' troppo presto, però hanno capito che NON dovevano farlo perché gli altri bambini si sono molto offesi e ne hanno parlato per giorni. E poi la piccola pera... via anche quella. Fa gola, capite? E' proprio lì ad altezza giusta. E tac! Sì, è vero, ce n'era solo una e ogni giorno guardavamo di quanti millimetri era cresciuta.
Ma cosa vuoi, la tentazione è forte.

Il finocchio è diventato più alto di loro. Mica dovevamo venderlo al mercato, eh. E poi fa un profumo!

Le piantine di piselli si sono seccate, è vero. Ma sa, cosa vuole, le formiche... Hanno costruito uno, due, forse tre formicai proprio lì sotto e si sono mangiate le radici. Però ci hanno lasciato tre piantine vive e abbiamo raccolto i bacelli e dentro c'erano dei piselli grassissimi e buoni.
Ucciderle? Ma scherziamo? E il Signor Formica poi? Lui che va matto per i piselli, è ovvio che si è fatto la villa lì sotto, eh! Ma figuriamoci.

Le fragole non ci sono, ma le piantine sono vive. Credo che ne siano anche cresciute, di fragole, in questi mesi; ogni tanto vedevo dei puntini rossi là in mezzo, poi magari mi giravo un attimo e quando mi rigiravo non c'erano più. Sa com'è.

(Girasole e calla fanno sapere che va tutto bene).

Insomma, alla fine mi hanno detto che il nonnino ha accettato di venire ad irrigare quella cosa selvaggia che abbiamo in giardino.
Secondo me, a occhio e croce, quando torneremo a scuola in Settembre, i bambini arriveranno lì nel recinto e poi guarderanno dentro, prima da vicino, poi da lontano, poi di nuovo da vicino, e poi mi diranno:

"Maestra, che cos'é?"

mercoledì 16 maggio 2012

oggi vorrei

Oggi vorrei che qualcuno si sedesse di fianco a me a raccontarmi una delle storie di Shakespeare come ha fatto una volta la Mary, me lo ricordo ancora, aspettavamo il treno sedute su una panchina e lei mi raccontava questa storia, a me e solo a me.

E io la ascoltavo e la guardavo con due occhi così, era così brava, e mi sembrava la storia più bella che avessi mai sentito.

domenica 13 maggio 2012

so 'nda al mercà

Questo è un periodo un po' strano che non mi piace niente, non so bene; però ieri sono andata al mercato in bicicletta.
E' bello andare al mercato in bicicletta.

Ero al banco delle scarpe per vedere se c'erano un paio di sandali. C'era una signora che aveva in mano delle scarpette ballerine col tacco.
Dice: Ma queste che numero sono? Trentotto, gli risponde il signore e lei non ci crede, dice No, non sono il 38, e allora il signore dice Sì, sono Suola38. E lo ripetono, questo balletto della suola 38, diverse volte. Finché lei se le prova e le vanno strette e bofonchia tra sé e sé che Vedi che non sono mica il 38 queste qui, e allora lui dice Le sono strette? Si vede che lei ha il 38 e mezzo. E lei, che avrà avuto più o meno sessant'anni, scopriva solo adesso che aveva il 38 e mezzo. Non so, per me lei era triste di questa scoperta, ma nello stesso tempo glielo leggevi negli occhi che lo avrebbe ammazzato, a Suola38.

Poi c'era una coppia, lui aveva preso in mano un paio di scarpe e gliele stava mostrando e lei ha detto: Ma dimmi, Franco, cosa ti piace di quelle scarpe? Lui ha fa Boh con le spalle e con la bocca e le ha rimesse giù, ma secondo me se le sarebbe comprate, a esser solo.

Al mercato poi sono andata a comprare le verdure; ho mostrato al signore la dieci euro: Devo stare dentro questi, gli dico, Io ti chiedo le verdure e poi mi dici te quando basta, va bene? Va bene. E ho comprato l'insalata, i radicchini, i ravanelli, le mele, le fragole, le zucchine, gli asparagi e poi, visto che c'era, m'ha messo nella borsa anche gli odori.
E come una signora fiera mi dirigo con le mie sportine di plastica sui manubri, una di qua e una di là, verso il ponte di Tiberio.

Ci sono un gruppetto di fresca gioventù, (diciamo) che son lì a chiacchierare e a un certo punto uno guarda il bar e dice: Oh, ci prendiamo un caffè? E l'altro giovane (diciamo) lo guarda con lo sgardo che dice testualmente testaclà, che sarebbe come dire Ma pensa te, questo qui, cosa gli viene in mente alle undici e mezza della mattina di prendersi un caffè. Allora il primo giovane, (diciamo) guarda di nuovo il bar e non gli è passata questa voglia del caffè e allora rilancia con il giovane numero tre, gli dice: Ci prendiamo un caffè, allora, dai. E il giovane numero tre non dice testaclà ma dice con un tono un pochetto seccato: Ma lo sai che io il caffè non lo prendo a quest'ora!, e allora ha guardato il giovane numero quattro che l'ha chiusa in bellezza dicendo: A quest'ora in questura il questore non c'era!
E niente, il primo giovane (diciamo) ha rinunciato al caffè facendo spallucce. Poi secondo me ha anche pensato che a prendere il caffè alle undici e mezza c'era il rischio che a casa si prendeva le parole dalla (diciamo) giovane consorte.

E poi continuo in questo racconto del mercato dicendo che una signora con la bicicletta parlava al cellulare e diceva che aveva perso il borsellino là al banco dei fiori e che tornava a vedere se lo trovava; ma secondo me non lo trovava più, dico io così a occhio e croce.

Alla fine, pedalando lentamente verso casa ho pensato che quando vai, devi andare lentamente, altrimenti ti perdi tutta della gran vita, intorno.

lunedì 30 aprile 2012

un sogno a occhi aperti

Una volta ho fatto un sogno a occhi aperti che praticamente prendevo una mentina POLO e ci mettevo dentro la lingua, e che poi la lingua si incastrava dentro il buco, poi dicevo aiuto, mi guardavano, dicevano: la punta della tua lingua sta diventando blu, io mi spaventavo, urlavo con difficoltà per via di questo fatto che avevo la punta della lingua blu incastrata nella POLO, poi chiamavano l'ambulanza, l'ambulanza arrivava ma nel frattempo la POLO si era sciolta e l'infermiere mi dava uno schiaffone e mi diceva Non si fanno questi falsi allarmi e i testimoni fischiettavano e facevano finta di niente.

(dovevo equilibrare per finire Aprile)

domenica 1 aprile 2012

cervelli verdi fritti alla fermata del web

A metà marzo, su Internazionale, è uscito questo articolo che mi ha fatto fare alcune riflessioni che riporto qui.

L'idea che la rete e l'accesso libero alle informazioni e alla cultura siano di per sé "autentica democrazia" è ingenua, infantile e fuorviante. Se si ha libero accesso alle informazioni e alla socialità e non si è dotati di spessore culturale e etico per usarle non necessariamente si avrà "autentica democrazia", anzi: se chi le usa è un idiota, può portare alla libera circolazione di demenzialità, superficialità e proiezioni narcisistiche di sé con alto potenziale patogeno e virulento. Alcuni social network sono popolati più da "amici di Maria" narcisi che da persone in grado di trovare e condividere contenuti interessanti, o in grado di criticare e riflettere su opinioni e argomenti vari, nonché capaci di tracciare nuove interessanti narrazioni (sia del presente che storiche, come tracce per un futuro possibile). Articoli complessi e più lunghi di tot caratteri sono spesso (non sempre) liquidati in fretta perché non c'è il tempo di approfondire o capirne il contenuto, non parliamo poi del criticarlo in modo analitico e intelligente, anche costruttivo. Credo che solo una piccola parte di popolo connesso sia in grado di fare operazioni di analisi e sintesi intelligenti. E allora mi chiedo: davvero si pensa che basti il libero accesso perché ci sia democrazia? E mi rispondo di no. Troppa strada deve fare la civiltà del web per dirsi rivoluzionaria. Avere accesso non basta.

Czerski scrive: "Partecipare alla vita culturale per noi è una cosa normale: la cultura globale è alla base della nostra identità e serve a definirci più delle tradizioni, delle narrazioni storiche, dello status sociale, delle genea­logie e perfino della lingua che usiamo. "

Tralasciando il discorso sulle genealogie, sullo status sociale e sulla lingua, possiamo davvero ritenere "identità" qualcosa che si forma prescindendo dalle tradizioni e dalle narrazioni storiche di cui facciamo parte? O meglio: è "identità"? Di che tipo?
Che cos'è la "cultura globale" che Piotr dice essere alla base della sua identità?
A me questa frase (meglio dire slogan?), francamente, spaventa. Sono cresciuta con l'idea -per dirla in soldoni- che il presente sia frutto del passato, nel bene e nel male, e che dal passato costruiamo il futuro anche attraverso la rilettura delle narrazioni storiche, attraverso il superamento degli errori, aggiustamenti, ripensamenti, analisi, fatica; che il presente sia una nuova e originale sintesi delle contraddizioni del passato e che sarà a sua volta la base per un nuovo presente, e così via; ritengo che anche il "progresso" (ma su questa parola ci sarebbe da scriverne a fiumi, forse è meglio dire semplicemente "cambiamento") sia un fattore lineare ottenuto con la continua riformulazione o creazione di nuovi tasselli che si sommano (o sostituiscono) a quelli preesistenti, sia nella scienza, che nella cultura umanistica, che nella riflessione esistenziale fino alle abitudini di comportamento, che altro non sono che le mentalità che guidano la vita quotidiana. Siamo anche quello che siamo stati, pur immersi in un eterno divenire. Che cosa si intende per "cultura globale" alla base della propria identità? Che cos'è? Un continuo scambiarsi bulimicamente contenuti, senza radici alcune?

Il web viene frequentato anche in modo superficiale e senza reale consapevolezza dalle nuove generazioni, spesso disarcionate dalla tradizione, spugne passive del pensiero unico, consumatrici facili da affascinare perché in fondo incapaci di analisi critica e che possono diventare vittime e carnefici insieme, essendo al tempo stesso la malattia e la vittima della malattia. Senza analisi critica, senza lo sforzo del pensiero non c'è "cultura" ma replica. Tanto meno si deve avere l'illusione di una "cultura globale".

(Non so chi siano i "noi" di cui parla questo ragazzo nato nel 1981).

E così succede che c'è chi le informazioni le manovra e le usa a suo scopo, per comandare e manipolare l'altro e arricchirsi, e chi invece non lo può fare perché non ha ( o meglio non ha sviluppato) le adeguate strutture di pensiero.
La "tradizione" può e deve essere tasformata, così come il modo di narrare la storia; può costituire la base sulla quale di volta in volta costruire nuovi significati. Ma non si può prescindere da essa e per farlo ci vuole capacità e impegno. Su cosa ricami, se non hai una tela? Come crei un nuovo pensiero se sei solo un consumatore acritico e deresponsabilizzato di idee e opinioni altrui?

Siamo davvero immersi nell'eterno presente fuori dal tempo e dallo spazio? O è solo l'ennesima illusione pubblicitaria, volta più ad un autoconvincimento di essere portatori di novità storica e noi meglio verso il futuro, voi vecchi ancorati a modelli, ormai inservibili, del passato?
Non avendo avuto la possibilità (o non avendo voluto fare lo sforzo) di formarsi un pensiero pensante critico e creativo, il cittadino comune soccombe, anche il nativo digitale, nella vita reale e nella tv prima e nel web oggi, restando di fatto solo consumatore sedotto, passivo e quindi sostanzialmente schiavo di merci e di opinioni (il copia-incolla di slogan o informazioni come illusione identitaria) seppure con l'ultimo modello di iphone o smartphone in mano.

Una "autentica democrazia" prima si preoccupa di formare i cittadini al pensiero critico, anche attraverso lo studio lineare e storico delle origini, della tradizione e dei processi che li implicano, in un percorso faticoso e difficile di consapevolezza del perché e del come siamo arrivati dove siamo (chiedendo uno sforzo necessario e indispensabile al singolo e alla comunità che impiega soldi e risorse); poi sì, deve permettere libertà d'accesso alla rete e alle informazioni, in una continua mediazione, negoziazione creazione e scambio di significati che divengono allora, così, cultura. E (forse) democrazia.

lunedì 26 marzo 2012

mi telefona e mi dice

Ero lì, ieri sera, che bevevo con quelle ragazze (bevi bevi, mi dicevano) e insomma mi telefona e mi dice: "Allora sei pronta? tra un po' leggo il tuo pezzo e poi mando la musica e poi ti chiamo".
No, macchè. Non sono mica mai pronta, io.

Però alla fine va, con il telefono quasi scarico da vera cialtrona, ma va, e ci si fa una chiacchierata in radio in diretta.

E poi una volta tornata a casa, che ero al compleanno di una befana che adoro, mi sono ascoltata Alessandro mentre leggeva il mio "La panna cotta"; ed è bravo davvero. Che a pensare che l'avevo scritto io, nemmeno ci credevo.

Ecco, questa cosa qui a Radio 500, una radio in una 500 che girovaga (vigili permettendo) per Milano e che trasmette musica e che la domenica fa blog therapy e che io ringrazio.

Guarda, son stata proprio contenta.

mercoledì 14 marzo 2012

esistenzialismo

e tutti in giardino verso l'orto, c'è da mettere a terra le piantine di piselli e zucchine cresciuti in classe nei vasetti.
Ma c'è gruppetto di bambini che ci mette un po' a portarsi verso l'orto, il giardino è grande e attraente.


- Finché non ci siete tutti, io non inizio.
- Io ci sono tutta!

(lei, Debora, 4 anni)

martedì 13 marzo 2012

lo sento

- Mi stanno arrivando le mestruazioni, lo sento.

Anch'io, m'ha detto lui.

giovedì 8 marzo 2012

partner

Tra i partner del prossimo (speriamo) progetto Comenius ci saranno sette diversi paesi europei tra cui il nostro; la referente (santa donna) è andata di recente in Turchia per il meeting di progetto.
In un momento di chiacchiera libera, mangiando come turchi, i Sette si scambiavano idee, discutevano su possibili progetti da fare nelle rispettive realtà, ridevano e scherzavano amabilmente, il tutto ovviamente in inglese.

Solo uno dei partner se ne restava un po' in disparte, pensierosa, e non partecipava alla discussione. Era la referente inglese.
Quando le chiesero perché non si facesse avanti nella ciàcola collettiva, la risposta fu questa:

"Ma no, è tutto a posto...riflettevo solo: io vi vedo che chiacchierate tra di voi così bene, siete fantastici, ma non capisco proprio tutto tutto quello che vi dite".

Ringrazio la referente per questo meraviglioso racconto che ci ha regalato oggi.

giovedì 1 marzo 2012

il cactus

Oggi a scuola abbiamo parlato della semina nei vasetti fatta ieri di piselli, zucchine e pomodori. Ho spiegato ai bambini che il semino, aiutato dalle nostre cure, dalla luce e dall'acqua, nascerà e crescerà e quando sarà diventato una piantina grandicella e abbastanza forte, noi andremo a interrarla nel nostro orto. E lì, con tutto lo spazio a disposizione, metterà delle belle radici e diventerà sempre più grande.

Come noi! Dice una bimba.
Certo, dico io, è vero. Però pensateci: la piantina ha le radici e starà ferma lì, si allungherà e crescerà, oppure si allargherà, come per esempio le zucchine, invece noi abbiamo i piedi e ci possiamo muovere.
La spiegazione non piace del tutto ad un bimbo che mi dice che lui conosce una pianta, un cactus particolare, che (cito testuali parole) per cercare l'acqua tira fuori le radici e con quelle va a spasso come fossero dei piedi.
Io non credo che questa pianta esista, probabilmente è un'interpretazione fantasiosa che può anche avere basi vere, ma non lo posso escludere del tutto (no, non sono credulona, è che la natura è davvero incredibile, tutto può essere. Magari esiste una spiegazione un po' più scentifica dell'immagine del cactus che prende e passeggia, ma chissà). Allora dico che non so se esiste questo cactus, ma che quando sarei tornata a casa, avrei cercato di saperne di più.

Poi ho fatto un test: ho chiesto se sapevano dove avrei cercato la risposta.
E qui ne ho sentite di interessanti, perché non mi sono fermata alla prima risposta, li ho spinti a darmi più possibilità.
Riporto le loro idee:

- nel computer
- in internet
- su facebook
- in televisione
- lo chiedi al sindaco
- vai nel deserto e vedi cosa succede
- fai una vaschetta con la sabbia, la chiami deserto, ci metti un cactus e aspetti, e poi vedi se cammina
- vai su punto com

Niente altro.
Non vi viene nessun altro modo?
- io lo chiedo a mia mamma, come fa.

Nient'altro? Sicuri? Potrei andare a cercare le informazioni sui cactus in una cosa che voi usate spesso, non vi viene in mente?

Niente.
Ho aspettato un po'.
Niente.
Gli ho dato la merenda, ho detto che magari con la pancia piena ragionavano meglio.
Niente.
La cosa era davvero interessante.

Dopo i giochi e le varie attività siamo andati in giardino e una volta rientrati (li seguo fino alla tana) ho chiesto ancora se ci avevano pensato. No, mi hanno detto. Allora ripensateci: dove posso trovare le informazioni se non ho internet, non ho la televisione, non ho la sabbia per fare un esperimento, non posso andare nel deserto e ho chiesto al sindaco e mi ha detto che non lo sa?
Eh, maestra ma sei proprio sfortunata te però!
Ok, mettiamola così, sono sfortunatissima, ma posso lo stesso trovare un posto dove sapere questa cosa. Dove?

Finalmente arriva un colpo di genio di qualcuno che esclama: in biblioteca!
Ooh! Giusto! E cosa c'è in biblioteca?
I libri!

Finalmente! Ero contenta, e anche loro (ma più del fatto che non li averei più tormentati, secondo me), e siamo andati a mangiare.

Però domani voglio chiedere perché non gli è venuto in mente, perché non hanno pensato subito al libro. E così scoprirò che idea hanno, a cinque anni, dei libri e del loro utilizzo. Non bisogna mai dare niente per scontato.

(no, non sono andata in biblioteca, ho scritto su google "cactus che cammina" e mi sono fatta un'idea. Domani proverò a spiegare quello che ho imparato)

lunedì 20 febbraio 2012

poesia inconsapevole 2

Lei guardava fuori dalla finestra, seduta e ferma.
Mi sono avvicinata e siamo rimaste un po' lì, ferme, a guardare fuori.
Le ho detto: come sei poetica, così, mentre guardi pensierosa fuori dalla finestra. Cosa stai guardando?

C'è il vento e gocciola, gocciola molto.
Mi ha detto.

(Xhoana, 4 anni)

martedì 14 febbraio 2012

Esse dentro a' dilicati petti

"Esse dentro a' dilicati petti, temendo e vergognando, tengono l'amorose fiamme nascoste, le quali quanto più di forza abbian che le palesi coloro il sanno che l'hanno provate: e oltre a ciò, ristrette da' voleri, da' piaceri, da' comandamenti de' padri, delle madri, de' fratelli e de' mariti, il più del tempo nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse dimorano e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgendo diversi pensieri, li quali non è possibile che sieno allegri. E se per quegli alcuna malinconia, mossa da focoso disio, sopraviene nelle loro menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa: senza che elle son molto meno forti che gli uomini a sostenere; il che degli innamorati uomini non avviene, sì come noi possiamo apertamente vedere. Essi, alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello, per ciò che a loro, volendo essi, non manca l'andare a torno, udire e vedere molte cose, uccellare, cacciare , pescare, cavalcare, giuocare o mercatare: de' quali modi ciascuno ha forza di trattare, o in tutto o in parte, l'animo a sé e dal noioso pensiero rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, con un modo o con un altro, o consolazion sopravviene o diventa noia minore."

Boccaccio, Decameron (proemio), 1351

sabato 11 febbraio 2012

la panna cotta

Era successo così: un giorno lei aveva portato a scuola la panna cotta e lui aveva molto gradito e, finito di pulire, s'erano messi a mangiarla. Lui la trovò squisita, la panna cotta più buona che avesse mai mangiato, e allora glielo disse, e lei aveva un sorriso, ma un sorriso, che lui era certo che era ancora più buono della panna cotta, a poterlo mangiare.
E così un giorno lui le chiese di rifarla, la panna cotta.
E lei la rifece, mangiarono insieme, lui si complimentò (più buona di quella dell'altra volta, disse), lei sorrise e il loro cuore si riempiva mano a mano che la panna cotta spariva dal piattino.

I giorni passavano e, come un rituale tra amici che si vogliono bene, le panne cotte arrivavano sulla tavola con regolarità. Lui ringraziava, lei sorrideva. Si guardavano ed erano felici.

Dopo un po' di tempo, forse mesi, forse anni, Alberto non ne poteva più di mangiare panna cotta. Solo che non aveva cuore di dirle di no, lei ci sarebbe rimasta male, pensava; si vedeva che lo faceva con tanto amore. E poi quel sorrriso, come poteva rinunciare? Come poteva rischiare di non vederlo più? E così, ogni volta, la mangiava, le faceva i complimenti e lei sorrideva. E lui era felice.

Alice non ne poteva più di fare la panna cotta. Solo che come faceva a non farla più? Lui tutte le volte la guardava con degli occhi che le facevano diventare il cuore più grande, si portava a casa quello sguardo e si sentiva meno sola; e poi lui ci sarebbe rimasto male, pensava, come l'avrebbe presa? magari pensava che lei non gli voleva bene più, che lei avesse delle stanchezze; invece no, assolutamente, lei lo adorava tanto, ad Alberto, davvero. E allora faceva la panna cotta, per lui, per lei, per loro.

Mangiarono tantissima panna cotta; e tutte le volte che lei la portava lui le faceva i complimenti e lei sorrideva e si volevano bene.

E insomma non si dissero mai quanto bene si volevano, ma per me se ne volevano tantissimo.

domenica 5 febbraio 2012

il distributore

Mi ricordo, correva l'anno 1994, era gennaio, io ero in Argentina e viaggiavo con un'amica e uno zaino piccolissimo, un invicta in cui c'era veramente lo stretto necessario per un viaggio che durò 40 giorni. Ero in Argentina e in quella tappa viaggiavamo in un pullman che ci avrebbe portato a sud. Un viaggio che durò dal tramonto all'alba.
Ricordo la strada dritta e il sole che tramontava a destra e la mattina dopo sorgeva a sinistra, e che nel frattempo era cambiata solo la posizione del corpo sulla poltrona del pullman.
Ma quella non fu l'unica cosa che mi affascinò.

Come è noto lì la bevanda è il mate e per berla (seguono descrizioni brutali, perdonatemi, o voi argentini) bisogna scaldare l'acqua e poi metterla dentro il mate (il contenitore) dove prima si era messa la yerba e poi, con una cannuccia fatta apposta, succhi il liquido che si forma, una specie di tè dal sapore forte. Ed è un'azione collettiva perché se siamo in sei, in sei beviamo tutti dallo stesso mate e dalla stessa cannuccia, e questo viene passato da mano a mano; ogni tanto si aggiunge acqua. Tutti bevono Mate dalla mattina alla sera, si portano in gita l'occorrente, non manca in nessuna pausa del giorno e ogni scusa è buona.

Mentre scendavamo giù al sud con il pullman, quella notte, avevo notato che l'autista aveva il suo mate (tiene svegli, un po' come il caffè, anzi di più).
Più scendavamo al sud e più era freddo, stavamo per andare a Calafate dove c'è il famoso ghiacciaio, il Perito Moreno, e anche se era estate, all'epoca, lì, faceva un freddo cane.
Ebbene, ad un certo punto il pulmann fa una pausa. Scendiamo a sgranchirci le gambe, saranno state le due di notte, e io mi accorgo che c'è un distributore dove la gente va con il termos per riempirlo di acqua. Grande! ho pensato, Che segno di civiltà. Ma ancora è niente: il distributore distribuiva acqua calda per farsi il mate. Acqua calda, capite?

Ricordo che questa cosa qui,dell'acqua calda, mi aveva affascinato moltissimo.
E così ieri, mentre studiavo alcune cose che riguardano il rapporto tra oralità e scrittura, narrazione e oralità terziaria, mi è tornato in mente quel distributore e poi mi è venuto da mettere le due cose in relazione.

E mi è nata un'idea: il distributore di storie.

Cosa sarebbe trovare alla fermata dell'autobus, o della metro, un distributore di storie gratuito? Ne abbiamo bisogno come dell'acqua calda per il mate, di storie, e allora c'è questo distributore in cui tu infili una chiavetta usb o il cavo del telefono supertecnologico e ti scarichi delle storie, che poi sono le storie di altri che, con la loro chiavetta usb o cavo o chennesò, hanno riempito il distributore. E infatti se vuoi puoi anche mettererci dentro le tue, di storie.

Il distributore gratuito di storie. Per me l'umanità progredirebbe un sacco.

(io, se esistesse, ogni tanto andrei ad abbracciarlo)



venerdì 3 febbraio 2012

ma come faceva mia nonna?


Dite ciao alla bambina che adesso arriva il matarello.

Poi ho iniziato a darci con mattarello.

Ma come diavolo faceva la mia nonna a ottant'anni a tirare la sfoglia? Ho il fiatone e sono a metà, ciao vado in farmacia a comprare il lasonil che tanto so già che domani avrò l'acido lattico anche nei muscoli delle caviglie, riempio la vasca e mi ci tuffo dentro, al lasonil. Ci vuole il fisico allenato, bisogna andare in palestra e fare le flessioni, per tirarela sfglia, venti al giorno, prescrizione medica. Sì, perché quando tiri la sfoglia muovi tutto il corpo, ondeggiano le anche, i piedi devono essere ben piantati per terra, colpi secchi e ritmati di reni e giù di braccia e di polsi.
Ma se le donne davano gli scapaccioni ai burdèl, con quelle braccia da sfoglia giornaliera, i voli da qui a lì ti facevano fare, le donnne della sfoglia (che poi i burdèl hanno quei gamberilli magri...pori burdelas). Io, se provo a dare uno scapaccione ai miei figli, mi dicono: mamma, mi hai chiamato?
Sarò io che non sono esperta ma vi dico, c'ho il fiatone.

Insomma, c'è la neve e allora non sono andata a scuola che è chiusa, e mi è venuta questa idea molto romantica di fare la sfoglia.
Adesso vado, è lì a metà che mi aspetta, mi son dovuta riposare per prendere fiato.

mercoledì 25 gennaio 2012

dialoghi improbabili ma veri

stamattina cellulare driin driin

Io: pronto
- Ciao Lia
- Ciao!
- Ciao, sono la Maria
- Sì... ciao, dimmi
- Ma, chi sono?
- Eh, se non lo sai te...
- Ma hai capito chi sono?
- Sei mia mamma
- Ahahhaha, sì, mi hai riconosciuta! ahahhahah

Ora.

Mia mamma ha diversi numeri di telefono cellulare e un diversamente abile uso dello stesso. Io ho smesso di memorizzare i suoi numeri nella rubrica perché non faccio in tempo a cambiarlo che lei lo cambia di nuovo, e allora tanto vale, la riconosco dalla voce e amen. Ed è sempre una sorpesa. Non so chi ha cominciato per prima*, di sicuro buon sangue non mente.
Chissà se riuscirò ad essere all'altezza con i miei figli.


* (aprile 2011)
"Comunque poco fa mi ha chiamato mia mamma al telefono fisso e io ho detto Pronto, e lei mi ha detto Sei a casa? Io le ho detto No, e infatti se ci pensi è molto strana questa cosa che io e te adesso stiamo parlando.
Mi piace molto scherzare la mia mamma.
Tempo fa mi divertivo a rispondere in modo stupido tipo Bronzo, Parto, Dimmi tutto, Chi sei? Cosa vuoi? Ne abbiamo ancora? Così, mi piaceva mandare in confusione mia mamma, infatti era quasi sempre lei.
Una volta mi ricordo che mi ha chiamata e io ho tirato su la cornetta e ho detto Eh. e lei mi ha detto Lia? e io le ho detto: Dipende. Sei tu, madre mia? E se sei tu, perché non mi riconosci più? Eh? io carne della tua carne, sangue del tuo sangue, basta una cornetta, una banale tecnologia telefonica, un filo dentro un muro, a sentirsi così lontani gli uni dagli altri? Ha aspettato che finissi il mio lungo monologo melodrammatico e poi ha parlato come se niente fosse."

mercoledì 18 gennaio 2012

forse era meglio

Fare studi antropologici con supponenza in discoteca solo perché sono solo una disintegrata sociale incapace di vivere la sua età, sempre spostata o troppo avanti o troppo indietro, e poi uno che sembra che ti riconosci dallo sguardo, lo vedi che è anche lui in disparte a fare gli stessi studi antropologici e che in verità io non ci volevo venire ma c'è sempre qualcuno che ti obbliga e che sa qual è il tuo bene, il tuo fottutissimo bene, son sempre gli altri a sapere qual è il tuo bene e te lo impongono, questo bene, e mentre te lo impongono tu pensi che idea hanno questi del bene, a te sembra l'inferno, e poi quando lui ti dice Io mi sento proprio un pesce fuor d'acqua, m'han portato i miei amici che non avevo neanche voglia, guardo questa gente ma io non sono come loro, io non ce la faccio.

e allora credi che il vostro sguardo è simile, forse c'è uno come me andiamo via e invece poi scopri che il suo sguardo è posizionato sulle tue tette e la sua mano sulla bottiglia di birra ed è tutta colpa degli studi di psicologia, sono quelli di sicuro, gli studi di psicologia, forse questo qui ha studiato, tu sei di sicuro uno che ha studiato e allora gli studi ti hanno indicato la strada per le mie mutande, ma cocco ti sei perso la noticina in fondo che diceva Prima di guardare le tette è bene cercare di continuare a fare finta di ascoltare.

e poi tornare a casa senza che nessuno le abbia neanche mai viste, quelle mutande, che poi è meglio così, tanto sono le mutante quattro euro del mercato e poi a chi vuoi che interessino le mie mutande meglio continuare a fare gli studi antropologici e le tette lasciarle appoggiate alla scrivania, che son pesanti e delle volte fa comodo appoggiarle mentre si studia col naso dentro, la testa dentro, gli occhi dentro, se li lascio troppo dentro finisce che mi metto gli occhiali ormai non ci vedo più una mazza.

Forse era meglio una birra in più una pagina in meno e la vita, tutta quella vita che ci sta nel mezzo.

ciao, mi chiamo Sonia, ho le tette grandissime, bevo le tisane quando andiamo al pub, sono noiosa e tra un po' metterò pure gli occhiali. C'è qualcuno in questo universo che mi assomiglia almeno un po'? Così, per sapere che non sono sola. Però continuiamo pure così, soli in due, che tanto se ti vedo e mi guardi le tette come prima cosa poi penso che non sei come me, io non ti guardo il pacco come prima cosa, se tu fossi come me, prima delle tette apriresti le orecchie, poi ti accorgeresti che sono noiosa e allora guarda, facciamo così, resta dove sei, chi ti ha chiesto niente.

sabato 14 gennaio 2012

No, ma tranquilla

- Mi dice: "allora, quando te ne vai?". E insomma, son dovuto uscire subito dalla stanza!

E non è tanto questa affermazione che m'ha fatto ridere moltissimo, di un babbo che viene cacciato dalla nipote e dal figlio seienni mentre giocano nella camera di quest'ultimo, quanto quella seguente, di mia sorella, a risposta del mio subitaneo sguardo preoccupato e interrogatorio:

- No, ma tranquilla: sono vestiti.

mercoledì 11 gennaio 2012

oibò

e insomma ridendo e scherzando siamo già all'undici, oibò.

avevo due ruote, dico due, non una, due, con dei chiodi conficcati dentro, m'ha detto: ma tutti te li prendi su i chiodi? Mi piacciono le ferramente, sarà quello, dico io
oibò

c'è mica nessuno più che ha le agende come le avevamo noi giovani degli anni ottanta che erano agende piene di pensieri di carte di ricordi materiali appiccicati anche contro la loro volontà? Oggi i ricordi sono tic tic tic sulla tastiera. Sai i ricordi che ci stanno, mica come le agende che dopo un po' non ci riuscivi nemmeno più a scrivere le cose per cui esistono le agende, tipo i compiti
oibò

"non farlo perché una mucca potrebbe morire per te". Ecco, io un cervello che pensa così, ad averlo vicino ogni giorno

Oibò

e poi l'anno nuovo e le voltate di pagine che si sente il vento.

OIBO`